Casa Divina Provvidenza Bisceglie
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Cronaca

Caso Divina Provvidenza, rientra il tesoro di Lorenzo Leone

8,3 milioni "accantonati" dall'ex vicepresidente andranno ai nipoti tranesi

Finiranno nei conti italiani dei due nipoti eredi tranesi, gli 8,3 milioni di euro che il commendatore Lorenzo Leone, vice-presidente per 23 anni della Casa Divina Provvidenza di Bisceglie e scomparso nel 1998, ha accumulato nel corso degli anni. Un "tesoretto" che ha suscitato l'attenzione dei pm tranesi, all'interno dell'inchiesta legata all'istituto biscegliese, che ha registrato un buco economico di 500 milioni, in quanto, secondo i procuratori Capristo, Curione e Giannella il Leone «riuscì a depredare le casse della Casa di tanto denaro da accumulare anche per se stesso un patrimonio enorme».

È quanto si apprende in un dettagliato articolo-inchiesta di Marco Lillo, su Il Fatto Quotidiano di ieri, che riporta come non ci sia alcuna iscrizione nel registro degli indagati per i due nipoti, ma solo un capitolo dell'indagine dedicato alla ipotetica ricostruzione della nascita di questo fondo, finora conservato nelle casse dello Ior e ora, grazie anche alla "volontary disclosure" destinati a rientrare nel Bel Paese, fatto salvo per la piccola percentuale che lo Stato arroga a sé in questi casi. Secondo le carte, Leone, nativo di San Lorenzo Bellizzi, aveva accumulato fino a oltre 18 miliardi delle vecchie lire, dividendoli in tre fondazioni, oltre ai 27 milioni di euro messi a disposizione delle suore, già rientrati in Italia in precedenza e sequestrati dalla magistratura.

I soldi, secondo la testimonianza che suor Grazia Santoro, allora madre vicaria della Casa, fece al pm tranese Seccia già nel 1998, sarebbero stati trasportati a Roma in contanti, all'interno di scatole di scarpe, dal Leone stesso, il quale, sempre secondo la religiosa, godeva di ricchezze ingiustificate, visto che dichiarava di non percepire alcun compenso dalla sua attività presso la casa. Nelle carte dei pm, si legge che la dichiarazione del suddetto ammontava a 50 milioni di lire all'anno, «reddito assolutamente incompatibile con le ricchezze accumulate» che, come riporta sempre il Fatto, comprendono un vasto patrimonio immobiliare, che al momento ammonta a una trentina di appartamenti a Trani, più due a Roma e due a Pescasseroli, in Abruzzo.

Nel 2013, il Tribunale dichiarò prescritte le accuse di appropriazione indebita e inesistenti quelle di associazione a delinquere, ma tutta la faccenda era già parecchio nota, per essere stata inserita nel celebre libro di Gianluigi Nuzzi, "Vaticano Spa", edito per Chiarelettere. Lillo, il giornalista autore del resoconto nel quotidiano di ieri, conclude così la sua discettazione: «Alla fine le colpe "eventuali" del nonno non ricadranno sui nipoti mentre i suoi accrediti milionari almeno in parte "depredati" secondo i pm stanno per ricadere sui loro conti. I latini dicevano summum ius summa iniura».
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