Toni², Tony al quadrato
La gravità della psiche
Erano tutti intorno al loro tavolo rotondo
sabato 2 luglio 2011
Erano tutti intorno al loro tavolo rotondo: Luigi, sulla cinquantina; una donna, sua moglie, di appena qualche anno più giovane, Maria; un ragazzo di diciotto anni, Giovanni; sua sorella ventiduenne, Alessandra e, infine, la più piccola, Veronica, ultima sorella, di quattordici anni.
L'atmosfera era serena, affettiva. Forse era festa. Certamente una bella casa di città: colore delle pareti, madie, comò, settimini, librerie, suppellettili, tende, tutto rimandava senz'altro ad un interno cittadino di classe medio-alta. A un certo punto del pranzo la stanza cominciò a ruotare, molto lentamente. Nessuno riusciva ad alzarsi, più per un blocco mentale che per un'autentica impossibilità fisica: una forza misteriosa incollava ciascuno al proprio posto. Continuò: questa sua assurda, lenta, paralizzante rotazione verticale proseguì sino al punto in cui si ritrovarono col pavimento al posto del soffitto. Nessuno diceva nulla. E nessuno cadeva. Anche il tavolo non risultava più sottoposto a gravità: rimaneva su in alto, appeso. Come le stoviglie, come tutti i mobili, tutte le suppellettili, le tende: tutto se ne stava serenamente rovesciato.
I capelli, solo i capelli dei commensali suggerivano, appena, una gravità che li rilasciava verso il basso, verso quello che prima era il soffitto. Qualcuno osò mormorare qualche cosa. A un certo punto una sorella, la maggiore, disse qualcosa di velatamente aggressivo alla minore. Fu un'escalation: cominciarono a volar parole grosse. Non si riusciva a commentare lo specifico di quel prodigio - forse incommentabile, forse incommensurabile - ma nell'onda di una nevrosi prima serpeggiante, poi fiammeggiante, le parole che vestivano quella terribile inquietudine, divenuta ormai terrore, eran delle più terribili.
L'aggressività si fece selvaggia: forse per non saper come sopportare quel terribile prodigio, quei poveretti si sorressero ciascuno con le loro verità: le più profonde. Uscì un tradimento antico. Mondi incredibili, che si fondevan l'un con l'altro, colavan giù dalle povere menti di quei commensali. Colori e forme, giganteschi ed imprevedibili universi cadevano lenti come la neve, ologrammi che si mischiavano rendendo piccina, insignificante, ridicola, al confronto, l'immagine di quella stanza.
Qualche tempo dopo seppi che non era svanita, quel giorno, per chissà quale incanto, la gravità: s'era solo spostata nella psiche.
L'atmosfera era serena, affettiva. Forse era festa. Certamente una bella casa di città: colore delle pareti, madie, comò, settimini, librerie, suppellettili, tende, tutto rimandava senz'altro ad un interno cittadino di classe medio-alta. A un certo punto del pranzo la stanza cominciò a ruotare, molto lentamente. Nessuno riusciva ad alzarsi, più per un blocco mentale che per un'autentica impossibilità fisica: una forza misteriosa incollava ciascuno al proprio posto. Continuò: questa sua assurda, lenta, paralizzante rotazione verticale proseguì sino al punto in cui si ritrovarono col pavimento al posto del soffitto. Nessuno diceva nulla. E nessuno cadeva. Anche il tavolo non risultava più sottoposto a gravità: rimaneva su in alto, appeso. Come le stoviglie, come tutti i mobili, tutte le suppellettili, le tende: tutto se ne stava serenamente rovesciato.
I capelli, solo i capelli dei commensali suggerivano, appena, una gravità che li rilasciava verso il basso, verso quello che prima era il soffitto. Qualcuno osò mormorare qualche cosa. A un certo punto una sorella, la maggiore, disse qualcosa di velatamente aggressivo alla minore. Fu un'escalation: cominciarono a volar parole grosse. Non si riusciva a commentare lo specifico di quel prodigio - forse incommentabile, forse incommensurabile - ma nell'onda di una nevrosi prima serpeggiante, poi fiammeggiante, le parole che vestivano quella terribile inquietudine, divenuta ormai terrore, eran delle più terribili.
L'aggressività si fece selvaggia: forse per non saper come sopportare quel terribile prodigio, quei poveretti si sorressero ciascuno con le loro verità: le più profonde. Uscì un tradimento antico. Mondi incredibili, che si fondevan l'un con l'altro, colavan giù dalle povere menti di quei commensali. Colori e forme, giganteschi ed imprevedibili universi cadevano lenti come la neve, ologrammi che si mischiavano rendendo piccina, insignificante, ridicola, al confronto, l'immagine di quella stanza.
Qualche tempo dopo seppi che non era svanita, quel giorno, per chissà quale incanto, la gravità: s'era solo spostata nella psiche.