Toni², Tony al quadrato
La pecora
C’erano una volta un insonne ed una pecora...
sabato 26 marzo 2011
C'erano una volta un insonne ed una pecora. L'insonne le disse, per prenderla un po' in giro: «Ma perché la notte che passo quasi tutta a cercar sonno devo contare proprio te? Sei brutta, hai un pelo che sembra uno zerbino! Dimmi, pecorella, perché sei tu la regina della notte, di tutti le mie notti?».
Quella neanche lo guardò, non fiatò: continuava a roteare gli occhi suoi, ferma immobile dal caldo che faceva. L'insonne, che non sopportava il tal silenzio, riprese all'improvviso: «Vuoi parlare? Mi vuoi dir qualcosa che non riguardi solo l'erba che ti mastichi?». «E cosa devo dirti? - disse lei - Io sono venuta al mondo per darti da mangiare, per scaldar le notti tue d'inverno: adesso è cosa nuova che ti servo pure per le notti in bianco! Il problema è solo tuo, io mastico, poi belo, e poi vado a dormir... Tu, sei tu che hai inventato questo mondo, che hai imparato a fare un due tre, che hai capito che le mie mammelle potevan darti quattro litri del mio latte, e che il mio pelo ti faceva cinque metri quadri di coperta. Non t'era sufficiente? M'hai dovuta scomodare pure per i sogni tuoi? E se m'azzoppo mentre immagini che sto scavalcando quella staccionata, il latte chi te lo regala, la lana chi te la rivende? Che faccio, ti denuncio? Ma tutto sto cervello t'è servito per risolvere l'insonnia legandomi una pettorina? A questo servono le forbici, il pennello, i numeri e il martello? Ad amputar Morfeo, ad ingrigir la sonnolenza, a conteggiare gli incubi mensili, ad acciaccare la naturalezza? Ma te che per sopravvivere stai appeso a quelle come me, ce l'avresti il coraggio di scavalcar la staccionata? O moriresti il giorno dopo, ti mancherebbe da mangiare, di risistemar la casa, di far due conti di partite doppie, rendite di banca, algoritmi finanziari e assegni circolari?».
La pecora guardò a lungo l'uomo insonne. Lui stette zitto. Lei riprese a masticare. Lui se ne andò con un timido saluto. Che sarebbe come a dir che l'algebra, da quel momento in poi, ci pensò bene, prima di metter la sua maschera all'istinto.
Quella neanche lo guardò, non fiatò: continuava a roteare gli occhi suoi, ferma immobile dal caldo che faceva. L'insonne, che non sopportava il tal silenzio, riprese all'improvviso: «Vuoi parlare? Mi vuoi dir qualcosa che non riguardi solo l'erba che ti mastichi?». «E cosa devo dirti? - disse lei - Io sono venuta al mondo per darti da mangiare, per scaldar le notti tue d'inverno: adesso è cosa nuova che ti servo pure per le notti in bianco! Il problema è solo tuo, io mastico, poi belo, e poi vado a dormir... Tu, sei tu che hai inventato questo mondo, che hai imparato a fare un due tre, che hai capito che le mie mammelle potevan darti quattro litri del mio latte, e che il mio pelo ti faceva cinque metri quadri di coperta. Non t'era sufficiente? M'hai dovuta scomodare pure per i sogni tuoi? E se m'azzoppo mentre immagini che sto scavalcando quella staccionata, il latte chi te lo regala, la lana chi te la rivende? Che faccio, ti denuncio? Ma tutto sto cervello t'è servito per risolvere l'insonnia legandomi una pettorina? A questo servono le forbici, il pennello, i numeri e il martello? Ad amputar Morfeo, ad ingrigir la sonnolenza, a conteggiare gli incubi mensili, ad acciaccare la naturalezza? Ma te che per sopravvivere stai appeso a quelle come me, ce l'avresti il coraggio di scavalcar la staccionata? O moriresti il giorno dopo, ti mancherebbe da mangiare, di risistemar la casa, di far due conti di partite doppie, rendite di banca, algoritmi finanziari e assegni circolari?».
La pecora guardò a lungo l'uomo insonne. Lui stette zitto. Lei riprese a masticare. Lui se ne andò con un timido saluto. Che sarebbe come a dir che l'algebra, da quel momento in poi, ci pensò bene, prima di metter la sua maschera all'istinto.