Toni², Tony al quadrato
La roccia che arricciava il polpo
E se adesso ribaltassimo questa metafora?
sabato 12 marzo 2011
Non sarebbe meglio se non s'arricciasse, il polpo, sulla roccia, ma sotto i duri colpi ad addomesticarne la mangiata, invece si spezzasse? Non sarebbe meglio se l'impatto della bestia non lasci la scia d'una assuefazione, ma il calco della resistenza, la traccia d'uno scontro, il timbro d'una eroica morte, o d'una eroica vita? Non sarebbe meglio se sotto i duri colpi del reale, se sotto la lingua che si spezza in mezzo ai denti, se sotto il torto che subisce l'uomo oppresso, se sotto il non ritorno dei pazienti meriti, se sotto il tornaconto storto ed opprimente delle ragioni falsamente collettive, vi fosse l'erezione d'un sono che assomigli per davvero all'anima di sé, all'anima che si guarda da vicino? Chi può amare il polpo che si frange inerte e disponibile sulla durezza del buon senso collettivo, delle leggi generali del silenzio, del mercato che si lascia rubare due miseri spicci, per poi rubare all'uomo occhi e gambe? Chi la può ammirare, questa mollezza che lascia sopravvivere e mai, mai, mai vivere, se vivere è la vicinanza del proprio sguardo con la propria idea di mondo? Chi potrebbe validare la giustezza di quel vischio, di quel muschio, di quella pappa che galleggia solida perché tanta, ma senza direzione? Perché massa, ma senza altro obiettivo se non quello d'un pensiero collettivo?
E se adesso ribaltassimo questa metafora? Se adesso, a citar Flaiano, dicessimo come sia meglio piegarsi, talvolta, piuttosto che rompersi in due pezzi? Come fosse meglio mutare forma, piuttosto che dividersi in chissà quante schegge? Se il reale non è più quel cielo inaccessibile ove si è sopportati se non si fa rumore, ma la società visibile che accoglie e crea, il mondo che regola e chiarisce, quanto sarebbe meglio, in questo caso, se il senso superiore d'un ordinamento regolasse Io e Narciso? Cioè non la forza d'una idea, d'un cuore o d'una mente, ma il profilo ermetico d'una malizia col sorriso, d'una furbizia col parlar politico, d'una trama con la maschera del sentimento, del rispetto, dell'amore verso gli altri?
Quanto sarebbe meglio allora, come il polpo, avere mille angoli da far combaciare con gli spunzoni dell'esistere di tutti, mille cartilagini con cui aderire - senza lasciare intercapedini ignoranti, stolte, lontane dal dolore altrui - alle infinite mosse, agli infiniti angoli, all'interminabile movimento d'una pietra? Perché ad esser per una volta relativi, lo si può dir davvero, parafrasando la deliziosa storpiatura ittica d'una meravigliosa, italica canzone, che s'ha, sì, da detestare il polpo, se si chiama Don Abbondio; s'ha da detestarlo, se si pensa con il cuore, se si vuol saettare il proprio sguardo oltre la casa di Pilato: ma s'ha d'andar d'accordo con quella minuta piovra, se in quella sua elasticità non c'è la codardìa d'un atomo che vola dentro il cosmo, ma l'intelligenza di un plastico cielo, che sa contenere il mondo.
E se adesso ribaltassimo questa metafora? Se adesso, a citar Flaiano, dicessimo come sia meglio piegarsi, talvolta, piuttosto che rompersi in due pezzi? Come fosse meglio mutare forma, piuttosto che dividersi in chissà quante schegge? Se il reale non è più quel cielo inaccessibile ove si è sopportati se non si fa rumore, ma la società visibile che accoglie e crea, il mondo che regola e chiarisce, quanto sarebbe meglio, in questo caso, se il senso superiore d'un ordinamento regolasse Io e Narciso? Cioè non la forza d'una idea, d'un cuore o d'una mente, ma il profilo ermetico d'una malizia col sorriso, d'una furbizia col parlar politico, d'una trama con la maschera del sentimento, del rispetto, dell'amore verso gli altri?
Quanto sarebbe meglio allora, come il polpo, avere mille angoli da far combaciare con gli spunzoni dell'esistere di tutti, mille cartilagini con cui aderire - senza lasciare intercapedini ignoranti, stolte, lontane dal dolore altrui - alle infinite mosse, agli infiniti angoli, all'interminabile movimento d'una pietra? Perché ad esser per una volta relativi, lo si può dir davvero, parafrasando la deliziosa storpiatura ittica d'una meravigliosa, italica canzone, che s'ha, sì, da detestare il polpo, se si chiama Don Abbondio; s'ha da detestarlo, se si pensa con il cuore, se si vuol saettare il proprio sguardo oltre la casa di Pilato: ma s'ha d'andar d'accordo con quella minuta piovra, se in quella sua elasticità non c'è la codardìa d'un atomo che vola dentro il cosmo, ma l'intelligenza di un plastico cielo, che sa contenere il mondo.