Toni e timbri

Una compagine forzuta

Toni e Timbri 39 - di Tony D'Ambrosio

Fremo nello scriver della stella moncherina, perché stan per accadere cose grosse assai. Ma d'uopo m'è il continuare a raccontar di accadimenti urbani ed urbanisti, più che mai urbanistici, che accaddero nella mia bella Zigghezzagghe sotto l'imperio, fra poco tramontante, del Giammìo Giammai ch'era Giammai Giammìo. Fu indetto il bando per sapere cosa far, che fine fare fare alla strada ormai rimasta in preda del deserto umano e commerciale. La strada, ricordate?, parallela a quella che si stava per affacciar ormai piena di vita, brulichìo, negozi e gente, a significare il modello nuovo di città: via gli incroci, via la morte (oddio, via la morte era una parola grossa un pò, per quella ci sarebbe davvero voluta la terapia di Glandino Policazzico, che avrebbe abolito il gioco del pallone annullando il concetto della sfera...), va bè comunque insomma, via gli incroci via la morte, bella vita e benessere costante: niente curve, niente stop, semafori pedonali ogni quantanquacinque pappamètri, tutto nella perfezione della dirittura urbana: epperciò - a dirla con Plato Platone Platanello – della dirittura umana.

Ci fu chi propose di fare della parte rimasta orfana di senso, un garage per biciclette verdi; chi pensò di farla diventare un luogo per esibizioni teatrali di quozienti intellettivi medio-alti, chi credette ravvisar nel potenziale del codesto spazio il luogo ove si accogliessero castori che desideravano di avvicinarsi, imparare, se possibile imitare, il modello antropologico, le movenze degli umani, i loro sentimenti, le ragioni del loro essere, perché pensassero, ragionassero, smettessero di pensare e cominciare a sragionar per poi riprendere a sorridere e poi piangere (perché gli uomini sorridono se lo chiedono gli animali tutti: forte la rabbia di non poter accedere a siffatte dimensioni, e certo bisognerà spiegare loro un giorno che essi, gli animali intendo, non si sono ritrovati nella disavventura di doversi industriar più dei loro simili per potere sopravvivere: i centomila errori di un istinto debol più che assai, il rischio serio d'estinzione, lo stop fra impulso e soddisfazione, contrapporre all'istinto previsione, far nascere così Tempo e Cose epperciò aggiungere - Dio mio – immaginazione a quella che è visione, la necessità di fare prima del leone, aver distinto quel che loro non possono distinguere, le cose separate l'une dalle altre, poter dare loro un nome - che è un muggito di differenziazione -, epperciò grazie alla differenziazione passare all'immaginazione per passare al linguaggio per passare al pensiero che non è altro che differenziazione più immaginazione più linguaggio e quindi di fondo poter sintetizzare l'azione col pensiero, per arrivare al ridere e poi al piangere che sono solo sintesi espressive di reiterazione ed elaborazione di rapporto fra gesto ed emozione... fermo Tonizione che bisogna arrivare al fondo di questa scrittozione, perché si pubblichi la pubblicazione a Zigghezzaggheweb punto commozione...), insomma insomma insomma, si stava scrivendo, castori che imparassero cosa vuol dir essere uomini. Ma allora ci fu chi propose di proporre ad altra razza animale lo studiare noi, perché i castori - ci si chiedeva - come facevano a vederci?

Dovevan poi troppo arrampicarsi, perciò era meglio che fosser degli uccelli ad istudiare Paolo e Giorgio e Franco e me, ma lì sarebbe stato poi il rischio serio d'invasione, qualcuno provvido ma anche deficiente sottolineò: "Ma quando mai – rispose Dino Qualcheduno – ci si dovrebbe porre il problema dell'invasione degli uccelli? Hanno mai invaso qualche cosa, qualcheduno?". Nulla di tutto questo, infondate discussioni, si decise di far diventare il bilametracchico di strada abbandonata una pista di atterraggio per catrostrotòni (un tipo speciale di aeroplani inesistenti ma che si era convinti sarebber stati progettati da lì a qualche eternità ventura). Rimaneva un problema gigantesco, sorto troppo tardi, a costruzione e sovrapposizione già avvenuta: le macchine, s'è detto, meravigliosamente furon progettate e costruite senza bisogno di volante per alcun bisogno di girare. Al problema dell'accostarsi per parcheggiare (cosa che evidentemente ci si accorse con un pelo di ritardo che non si riusciva a fare) si provvedette con la costituzione, ogni trencàstepattemamètri, di un gruppo di forzuti da palestra che avrebber provveduto ad accostare a mano l'auto al ciglio della strada (problema non da poco, che fece subito intraveder quanto ingorghi ne sarebber derivati, ma tant'è, si fece, e via così).

Il vero guaio sorse quando ci si accorse che non si poteva ritornare a casa: eh già perché non essendoci quartiere, non c'era un modo per prendere una via perpendicolare e poi parallela e poi ancora a perpendicolo e ritrovarsi fantasticamente a casa a guardare non so che. Fu istituito un altro concorso: come ovviare al problema? Come tornare indietro? Se il supermercato stava a un bichilometro da casa, non potendo fare l'inversione a U (non c'era il volante nelle auto, scusate, non credo siate rimbecilliti, ma m'è premura ricordarlo), e non potendo usufruire di un sistema viario atto a ricondurci lì donde ci si muoveva, come riportare indietro spese e controspese? Qualcheduno propose (Qualcheduno, sempre intendo Dino Qualcheduno) l'istituzione di un'altra compagnia forzuta che si peritasse di portare indietro le buste della spesa.

- Già ma se qualcheduno si vuol comprare casa? – tuonò dai banchi dell'opposizione Nomino Troppoastratto.
- Io ce l'ho già la casa! – rispose un poco suscettibile Dino Qualcheduno.
- Non intendevo te intendevo qualcheduno nel senso di qualcuno!
- Ma scusa in che senso se qualcheduno si vuol comprare casa? – esclamò Giammìo Giammai, sindaco pratico e saggio assai.
- Proprio in questo senso: se qualcuno vuol comprarsi casa, come se la porta a casa, la casa, che non può tornare indietro?

La questione era grande; perché non soltanto il problema pareva insormontabile trattandosi di ritornar con sedici buste della spesa: ma sembrava un poco più complesso per chi voleva ritornare con un'altra casa.

- Ebbene chi si compra una seconda casa la lascia lì dov'è! – come una illuminazione proferì Giammai.

Un mormorio stupefatto invase il consiglio comunale.

- E poi scusate, come potrebbe entrare una casa in una casa?
- Semplice – disse Glandino Policazzico – basta che sia più piccola della prima.
- Giusto, bisogna promulgare una legge che bandisca l'acquisto di una seconda casa che sia più grande della prima, pena la morte! – chi lo disse non ricordo.
- Giusto! Bene! Bravo! Vergogna! Sanguinario!

Vi risparmio i nomi e tutte le diverse voci che si levaron coralmente dopo l'ennesima proposta dell'ennesim consigliere. Sta di fatto che al primo tentativo di una compagine forzuta di portare una casa dentro un'altra casa (ci si accertò comunque fosse più piccola dell'altra), sopraggiunse il problema di come tagliarla dal palazzo, prim'ancora di come portarla via. Venne istituito un'altro bando: fu inventata la sega più straordinaria che si potesse immaginare: la sega per case. La inventò Filippo Lippi (non il pittore, un suo anonimo). Venne subito messa in pratica: si andò al civico in questione di Strada Unica 23 (si chiamava proprio così, nel senso che non era quello il civico, nel senso che la strada si chiamava proprio Strada Unica 23, e il civico era il 23). Si segò la casa. Non entrava in ascensore. Nel pianerottolo, in attesa dell'idea di come portarla in basso (era una casa al quarto piano), la compagine forzuta attendeva il sorgere di una qualunque idea. Fu istituito un bando: come portare una casa da quarto piano a terra. Qualcuno propose un terremoto. Io propongo di far pausa.

Ps. Mmhhh... E se ci fosse un terremoto pure sulla stella moncherina?
Toni e timbri

Toni e timbri

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