«Ripensiamo ed in meglio l'assistenza domiciliare»

Sanità, l'intervento di Rino Negrogno. «Una società civile è una società evoluta che non lascia indietro nessuno»

giovedì 12 aprile 2012 10.01
«L'assistenza domiciliare deve comprendere sia quella medica ed infermieristica che quella psicologica per il malato ed i suoi cari. Deve comprendere l'analisi sociologica del contesto familiare e deve dare risposte adeguate. Deve essere presente per tutto il tempo necessario a fornire un sostegno valido alla famiglia. Il malato che non può più essere gestito in ospedale non deve essere fonte di lavoro a nero per approssimati infermieri o badanti e motivo di dissanguamento per le loro famiglie. Anche perché una gestione pubblica di questo problema oltre ad aiutare il malato e la sua famiglia diventerebbe un'opportunità per creare occupazione legale e tassata. I soldi devono uscire, dobbiamo pretenderli visto che leggiamo continuamente di milioni di euro vaganti tra il politico ed il dirigente di turno». Le considerazioni sono di Rino Negrogno, vice segretario della Federazione della Sinistra e candidato al Consiglio comunale.

«Una società civile - spiega Negrogno - è una società evoluta che non lascia indietro nessuno. Mi capita sovente di imbattermi in situazioni gravissime non dal punto di vista sanitario ma sociale. Il malato, soprattutto quello terminale, quello incurabile che sta per morire spesso diventa, oltre che dal punto di vista affettivo, per la sua gestione, un peso eccessivo per i suoi parenti. Quando la situazione di in una famiglia dove vi siano già dei problemi di povertà e disoccupazione viene compromessa da una malattia grave, incurabile di uno dei componenti il dramma è indescrivibile».

Negrogno, dall'alto della sua esperienza, fa una approfondita analisi di ciò che accade oggi: «Il vantaggio per alcune famiglie molto povere è quello di vivere in piccole aggregazioni familiari, delle vere e proprie tribù, per poter far fronte alla povertà con più forza. Mi trovo spesso di fronte a più famiglie formate dalle famiglie di fratelli e sorelle che vivono insieme nella casa dei loro genitori. Al contrario delle famiglie patriarcali del secolo passato che erano organizzate così per non dividere le ricchezze, queste famiglie pseudo patriarcali si aggregano per dividere la povertà. Le definirei, però, oligo-patriarcali dove gli uomini che contribuiscono, spesso con poco, al sostentamento dei familiari detengono il potere organizzativo ed esecutivo del piccolo stato. Qui l'equilibrio diventa precario quando uno dei patriarchi si ammala. Quando poi la famiglia, sia proletaria che medio borghese è composta solo da genitori e figli, basta che se ne ammali uno per rompere l'equilibrio. Si avverte la sensazione incontrastabile di essere soli e di non sapere da dove cominciare per risolvere tutti i problemi che derivano dalla malattia del proprio caro. Medici, infermieri, flebo, siringhe, cateteri vescicali, pannoloni eccetera diventano fantasmi spaventosi che si piazzano sulla chiffonier, irriverenti, fino alla morte dello sventurato. Ma spesso le famiglie non sono invase neanche da questi fantasmi e non si preoccupano, perché non sanno, nemmeno di alleviare il dolore del malato. Povera gente sbattuta da una parte all'altra senza nessuna pietà, hanno il viso segnato dall'abbandono e dalla convinzione di dover vivere per forza nel dolore e che la gioia sia un lusso, quasi un peccato. Non sognano neanche che ci possa essere una via di uscita, sono come le nostre madri a cui da bambine insegnavano solo la dedizione e la normalità contro un mondo infame».

«Una società evoluta - conclude l'esponente della Federazione della Sinistra - non può permettere tutto questo e la politica deve occuparsi e risolvere il problema».