Trani a Capo accusato di diffamazione, il gip chiede alla Procura il capo d'imputazione

Il movimento aveva incolpato "Le lampare al fortino" di morosità

venerdì 14 settembre 2018
Il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trani Raffaele Morelli ha ordinato alla Procura della Repubblica di formulare il capo d'imputazione per l'accusa di diffamazione nei confronti del referente del Movimento "Trani a Capo" Antonio Procacci e dei consiglieri comunali Aldo Procacci e Maria Grazia Cinquepalmi. I fatti si riferiscono al comunicato ed alla conferenza stampa di Ottobre 2016 con cui venivano sollevate questioni sulla morosità del canone di locazione nei confronti del Comune di Trani da parte del gestore del ristorante "Le Lampare al Fortino" e dubbi sulla destinazione dell'immobile sulla base di un'attestazione dell'Arcivescovo della diocesi tranese.

La Procura aveva chiesto l'archiviazione della denuncia sporta da Antonio Del Curatolo (legale rappresentante della Sas Le Lampare) ma il gip ha accolto l'opposizione di Del Curatolo (difeso dall'avvocato Giuseppina Chiarello) limitatamente all'ipotesi di diffamazione. Non anche per quella di rivelazione ed utilizzazione di segreto d'ufficio, pure avanzata dal difensore di Del Curatolo.

Secondo il gip "pur non apparendo permeate dall'utilizzo di espressioni direttamente infamanti, aspre o da un linguaggio aggressivo, la non-infondatezza della notizia di reato si sostanzia nella ripetitività delle condotte, sovrabbondanti rispetto al fine della cronaca ed integranti, nella prospettiva dell'originario capo di imputazione del pubblico ministero, una sorta di campagna denigratoria nei confronti del denunciante, tenuto conto dell'insussistenza di profili di interesse pubblico in merito alla validità o meno dell'eventuale concessione ormai rilasciata dal Comune anni addietro, apparendo siffatta divulgazione verosimilmente strumentale ad un diverso fine politico; né apparendo scriminata la condotta degli indagati dal fatto che questi hanno chiesto informazioni anche in merito ad altri beni concesso in uso ai privati.

Diversamente – motiva il gip all'esito dell'udienza dello scorso 29 giugno – non sussistono i presupposti per ritenere configurabile anche il reato di rivelazione e di segreto d'ufficio, avendo gli indagati dato conto, in considerazione delle loro rispettive qualità, delle modalità di acquisizione dei documenti".