All'Impero arriva la commedia di Marco Pilone

"Na bauna megghiàere fàce nu bùene maròeite". Da martedì, per quattro giorni, risate a teatro col vernacolo tranese

lunedì 16 gennaio 2012 10.46
Da domani e fino a venerdì (porta ore 20.30, sipario ore 21) si ride e di gusto all'Impero di Trani dove torna la commedia in vernacolo firmata da Marco Pilone e dall'associazione Mimesis. L'ultimo lavoro del regista tranese è una commedia in tre atti dal titolo "Na bauna megghiàere fàce nu bùene maròeite". La scenografia è stata curata da Gianna Pellicciaro, i costumi sono stati realizzati da Marianna Sicolo.

Nel cast, i volti noti e meno noti dell'associazione teatrale: Franco Achille, Giovanni Basso, Enzo Battista, Eleonora Celoro, Enzo Cirillo, Antonietta Croce, Sebastiano Curci, Giulio Di Filippo, Vincenzo Di Micco, Caterina Leuci, Francesco Magnifico, Matteo Mignoni, Domenico Nuzzolese, Paolo Tricarico, Laura Tricarico e Giuseppe Vingi. La regia è ovviamente di Marco Pilone. I biglietti (già disponibili al botteghino del teatro Impero) sono divisi per settore: primo settore 18 euro, secondo settore 15 euro, terzo settore 12 euro.

Marco Pilone presente così il suo lavoro: «Nell'epoca in cui Internet regna sovrano, dove le comunicazioni avvengono attraverso mail, sms e social network, portare in scena una commedia in dialetto può sembrare anacronistico. Non è così: il dialetto fa parte del bagaglio culturale che ognuno di noi porta sulle spalle ed è l'impronta che segna il nostro far parte di un certo luogo, di un certo tempo e che ci assimila e ci pone nel posto preciso della nostra storia personale. Il dialetto rappresenta la nostra etichetta, le nostre radici, la nostra carta d'identità. Il dialetto tranese è la nostra lingua: attraverso essa esprimiamo i nostri modi di dire, i pensieri, i nostri sentimenti, i nostri stati d'animo. E' il mezzo che ci unisce nel confronto, nel dialogo, nello scambio di idee. Il dialetto attuale è diverso dalla lingua ereditaria dei nostri nonni. Tante espressioni si sono addolcite nel corso del tempo, mentre tanti modi di dire si sono persi. Del resto, le trasformazioni del dialetto sono quasi naturali, oggi si parla un dialetto più vicino all'italiano che tende a tralasciare gli antichi termini. Il dialetto inteso come lingua è il mezzo che identifica tutto: i soprannomi, i rioni, le località. Il dialetto dà nuova forma alle parole, riesce a rendere l'idea prima ancora di ridurla in termini precisi, a volte armonizza e a volte indurisce. Il dialetto è l'espressione di un popolo, è come un abito fatto su misura, è come una spugna che assorbe fatti, episodi, luoghi, persone e che restituisce fatti, episodi, luoghi, persone con profilo e identità precisi ma soprattutto con un'anima e, nel nostro caso, con la nostra anima tranese. Amare il dialetto, tramandarlo, usarlo nel nostro quotidiano, insegnarlo ai nostri figli, significa amare noi stessi, significa essere possessori di una grande eredità: l'eredità della nostra storia».