«Morire di covid non rappresenta una colpa»

La riflessione di Rino Negrogno, infermiere del 118

martedì 10 novembre 2020 10.34
A seguito della notizia riportata sulla nostra testata in merito il decesso di una giovanissima concittadina risultata positiva al Covid e le conseguenti pesanti accuse rivolte alla redazione di Traniviva sulla pagina Facebook, riportiamo il commento di Rino Negrogno, infermiere del 118 di Trani.

In questi giorni mi imbatto spesso su accese discussioni sulla causa di morte di qualche sventurato. C'è una infervorata diatriba sull'eventualità che quello o quell'altro sventurato sia morto o meno per COVID. Così quei cittadini che vogliono negare la gravità della situazione cui le nazioni versano a causa della pandemia, sono propensi a negare la morte per COVID o quantomeno sottolineare la presenza di altre malattie che avrebbero determinato la morte a prescindere dal virus. Mentre quelli che desiderano evidenziare la gravità della pandemia e la pericolosità delle conseguenze derivanti dal mancato rispetto delle precauzioni per limitarne il contagio, sostengono che il COVID sia l'unica e sola causa di morte.

Vi premetto che io, per quel che vedo ogni giorno e per il dramma che vivo – compreso quello di quei signori che fino a qualche giorno prima avevano scritto sui forum e sui social che il COVID fosse un'invenzione, (leggo addirittura che le ambulanze girerebbero vacanti per diffondere il panico) e invece quando sono in ambulanza con l'aria che gli manca, cambiano immediatamente idea e si pentono di averlo scritto – sono del parere che la situazione sia, se non drammatica, quantomeno complessa.

"È morto di arresto cardiaco, non di COVID!" scrivano i più esperti. Nella mia esperienza trentennale di infermiere, non mi è ancora capitato un morto con il cuore che ancora batte. Tutti moriamo di arresto cardiaco. Arresto cardiaco vuol dire che il cuore si ferma. Semmai, se proprio vogliamo saperlo e riteniamo che la differenza possa cambiare le sorti del defunto, bisognerebbe chiedersi quale sia la causa che abbia determinato l'arresto cardiaco. Se è improvvisa, in circa l'80% dei casi è determinata da una cardiopatia ischemica, un infarto, poi ci possono essere altre cause e tra queste le malattie croniche che peggiorano, determinando uno scompenso.

Leggo che scrivete: "Aveva malattie pregresse" oppure "è morto perché era già malato". È probabile che chi muore dopo essersi contagiato, muore perché era cardiopatico, perché era iperteso, perché era diabetico, perché era bronchitico cronico, ma è anche vero che senza l'aggravamento provocato dal virus, lo sventurato, con adeguata terapia, antipertensiva, ipoglicemizzante, antibiotica, sarebbe vissuto per altri dieci, venti, trent'anni. Quindi morire di COVID, oltre a non rappresentare una colpa, un'onta, una morte meno importante, vuol dire, sebbene vi siano anche casi di persone che non avevano alcuna malattia pregressa, che lo sventurato, quando è morto, era positivo al COVID, e questa situazione potrebbe aver determinato un aggravamento della sua patologia e uno scompenso. Per sottrarre, come alcuni inspiegabilmente desiderano, gravità al virus che imperversa, si potrebbe persino dire che non è morto di COVID, ma ciononostante, senza di esso, sarebbe sopravvissuto per diversi altri anni.

Altro diffusissimo adagio che leggo ripetutamente è quello delle altre malattie che non esisterebbero più. Non siate in ansia per le altre malattie. Vorrei tranquillizzarvi. Ci sono ancora le altre malattie. Non so cosa vi faccia pensare che non esistano più.

Soccorriamo ancora persone colpite da infarto, le trattiamo già in ambulanza somministrando adeguata terapia e le trasferiamo velocemente in emodinamica; cerchiamo ancora di lenire le sofferenze dei malati di tumore, spesso purtroppo solo per ridurre il loro dolore lancinante e accompagnarli dignitosamente alla morte o soltanto per dare una parola di conforto ai loro cari; cerchiamo ancora, spesso riuscendoci, di far ripartire il cuore a chi si è fermato, ce la mettiamo tutta praticando massaggio cardiaco e scariche di defibrillatore fino allo sfinimento; soccorriamo ancora i feriti negli incidenti stradali, ancora adesso li liberiamo dalle lamiere dell'automobile con l'aiuto prezioso dei Vigili del Fuoco e li stabilizziamo, li trasferiamo in ospedale.

Interveniamo ancora, anche per una semplice colica o per una diarrea. Interveniamo ancora, anche per la vecchina che si sente sola e per questo ha allertato il 118.

Non siate in ansia dunque, ci sono ancora le altre malattie.

Preoccuparsi di contrastare con tutte le nostre forze la diffusione del virus, rispettando le misure per ridurre il più possibile la sua diffusione, mascherina, distanziamento, igienizzazione, significa anche evitare di sottrarre risorse utili ad affrontare le "altre malattie". Se i medici e gli infermieri sono utilizzati per gestire pazienti con complicanze dovute al COVID19, ci saranno meno medici e meno infermieri che si occuperanno di curare le altre malattie e ci saranno anche meno ambulanze disponibili perché tutte impegnate a soccorrere pazienti positivi al COVID con grave difficoltà respiratoria.

Mettete la mascherina, dunque, e rispettate il distanziamento sociale, per il resto i sanitari faranno tutto il possibile.

P. S.: quando le ambulanze corrono con la sirena accesa e sono vuote vuol dire che stanno andando dal paziente.

P. P. S.: Se dovessi morire e risultare positivo al COVID, vi prego, non tessete epitaffi, così non vi verrà poi in mente di diagnosticarmi delle malattie pregresse. Perché le mie presunte malattie pregresse vorrei tenermele per me. Perché probabilmente ci vivrei senza problemi grazie alla compressa che ingurgito ogni mattina.