Morta a 28 anni per la trasfusione di sangue infetto
Dopo 8 anni la famiglia ottiene un maxi-risarcimento di un milione e mezzo
mercoledì 29 aprile 2015
17.39
A soli 28 anni non poteva immaginare che una trasfusione si sarebbe trasformata in una condanna a morte. Un tragico errore, l'ennesimo esempio di malasanità. La giovane ragazza, affetta da talassemia, era costretta, sin da piccola, a sottoporsi costantemente a trasfusioni di sangue. Nel 2007, a Trani, ha perso la vita dopo aver ricevuto trasfusioni di sangue infetto dal virus dell'epatite C.
Dopo circa 8 anni, i genitori e i due fratelli hanno ottenuto un risarcimento di un milione e mezzo da parte del Ministero della Sanità. Un autentico calvario, per lei e per i suoi cari che non si sono arresi nemmeno quando il destino l'aveva portata via. Una battaglia giudiziaria terminata con uno dei risarcimenti più alti mai pagati dal Ministero della Salute nel nostro territorio.
La condanna emessa dal Tribunale di Bari, a favore della famiglia tranese, è giunta come la prova che quella battaglia fosse giusta, perché la morte di una ragazza di soli 28 anni, per un errore della struttura sanitaria, non poteva restare impunito. La sentenza riconosce il danno morale e biologico.
L'avvocato della famiglia, Ferdinando Fanelli del Foro di Trani, ha sostenuto in causa che il Ministero fosse colpevole dell'accaduto per non aver adeguatamente vigilato sulla raccolta e sulla distribuzione del sangue e degli emoderivati da destinare alle trasfusioni. Il Tribunale di Bari, dopo aver attentamente valutato in tutti i suoi complessi aspetti la ricostruzione dei fatti posti a base della richiesta di risarcimento, ha infine interamente accolto tale tesi (poi confermata anche dalla Corte d'Appello di Bari), condannando lo Stato italiano al pagamento dell'ingente somma.
Non si tratta, purtroppo, di un caso isolato. Fra gli anni Settanta e Ottanta, furono migliaia i casi di pazienti infettati, ma il caso della ragazza di Trani è tra quelli che hanno ottenuto il maggiore risarcimento.
Dopo circa 8 anni, i genitori e i due fratelli hanno ottenuto un risarcimento di un milione e mezzo da parte del Ministero della Sanità. Un autentico calvario, per lei e per i suoi cari che non si sono arresi nemmeno quando il destino l'aveva portata via. Una battaglia giudiziaria terminata con uno dei risarcimenti più alti mai pagati dal Ministero della Salute nel nostro territorio.
La condanna emessa dal Tribunale di Bari, a favore della famiglia tranese, è giunta come la prova che quella battaglia fosse giusta, perché la morte di una ragazza di soli 28 anni, per un errore della struttura sanitaria, non poteva restare impunito. La sentenza riconosce il danno morale e biologico.
L'avvocato della famiglia, Ferdinando Fanelli del Foro di Trani, ha sostenuto in causa che il Ministero fosse colpevole dell'accaduto per non aver adeguatamente vigilato sulla raccolta e sulla distribuzione del sangue e degli emoderivati da destinare alle trasfusioni. Il Tribunale di Bari, dopo aver attentamente valutato in tutti i suoi complessi aspetti la ricostruzione dei fatti posti a base della richiesta di risarcimento, ha infine interamente accolto tale tesi (poi confermata anche dalla Corte d'Appello di Bari), condannando lo Stato italiano al pagamento dell'ingente somma.
Non si tratta, purtroppo, di un caso isolato. Fra gli anni Settanta e Ottanta, furono migliaia i casi di pazienti infettati, ma il caso della ragazza di Trani è tra quelli che hanno ottenuto il maggiore risarcimento.