Toni², Tony al quadrato
Favola di favola
Un amico cominciò a parlare del senso della vita...
sabato 16 luglio 2011
Qualche giorno fa un amico cominciò a parlare, un po' bevuto, del senso della vita. Coraggiosamente ci invitò a discorrere della famiglia, e di come e quanto ogni famiglia abbia avuto chissà quale peso nel provocare in noi i nostri tratti, i nostri comportamenti, la forma stessa della nostra anima. Ebbe bisogno, questo amico, per stimolare a fondo la reazione dialettica degli altri, di chiarire come egli avesse vissuto la separazione dei suoi a soli sei anni, e ci chiese, con un velo palpabile di sarcasmo, se i nostri genitori fossero felici.
Sentii un grande borbottare intorno a me, quella parola aveva centrato il segno: vi fu un coro di proteste, è difficile accettare di sconfiggere quel dogma, la certezza del cappello, la forza della struttura sopra a noi, saper di avere un tetto invece che scoprire d'esser sotto il cielo con le stelle e magari sotto al diluvio universale. Ci fu chi, invece d'affannarsi a protestare contro la messa in bilico della felicità di padre e madre, disse: «Posso raccontarvi una bella favoletta?». Era davvero bellissima, la riporto sinteticamente.
C'era una volta un personaggio di una favola che mise il figlio sulle gambe sue e gli disse: «Adesso ti racconto una favola». E cominciò a parlargli d'un uomo che s'alzava ogni mattina, che andava a lavorare, che accompagnava i figli a pallavolo, che si sposò un paio di volte, che andava a correre nel parco, che votava alle elezioni, che dormiva una mezz'ora il pomeriggio, che litigava raramente con le mogli, che apriva gli occhi suoi ogni mattina ben sapendo cosa fare. Quest'uomo morì d'una malattia qualsiasi, e intorno al suo feretro i parenti erano tristi, commossi.
«Bella questa favola papà - disse il personaggio della fiaba al genitore - ma non manca qualcosa alla fine?». «Ah, sì, tutte queste persone vissero felici e contente». «Davvero papà?». «Certo che no, ma credi tu alle favole?».
Sentii un grande borbottare intorno a me, quella parola aveva centrato il segno: vi fu un coro di proteste, è difficile accettare di sconfiggere quel dogma, la certezza del cappello, la forza della struttura sopra a noi, saper di avere un tetto invece che scoprire d'esser sotto il cielo con le stelle e magari sotto al diluvio universale. Ci fu chi, invece d'affannarsi a protestare contro la messa in bilico della felicità di padre e madre, disse: «Posso raccontarvi una bella favoletta?». Era davvero bellissima, la riporto sinteticamente.
C'era una volta un personaggio di una favola che mise il figlio sulle gambe sue e gli disse: «Adesso ti racconto una favola». E cominciò a parlargli d'un uomo che s'alzava ogni mattina, che andava a lavorare, che accompagnava i figli a pallavolo, che si sposò un paio di volte, che andava a correre nel parco, che votava alle elezioni, che dormiva una mezz'ora il pomeriggio, che litigava raramente con le mogli, che apriva gli occhi suoi ogni mattina ben sapendo cosa fare. Quest'uomo morì d'una malattia qualsiasi, e intorno al suo feretro i parenti erano tristi, commossi.
«Bella questa favola papà - disse il personaggio della fiaba al genitore - ma non manca qualcosa alla fine?». «Ah, sì, tutte queste persone vissero felici e contente». «Davvero papà?». «Certo che no, ma credi tu alle favole?».
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