Toni², Tony al quadrato
Istinto a pezzi
Un giorno il Fato decise che...
sabato 30 luglio 2011
Un giorno il Fato, che aveva proprio una gran voglia di divertirsi alle spalle della Natura, decise che era giunto il momento di far nuotare un pesce in un mare di plastica. Rimuginò tanto su quel fosse l'animale adatto a questa impresa, infine ebbe un'illuminazione: il delfino, pesce forte e fiero della sua lealtà, dell'esser suo fedele ad ogni cosa che assomigli a un compito, a un dovere, ad una aspettativa.
Il delfino cui venne chiesta questa impresa, ottemperò. Si sentiva di poterlo fare, la sua totale fiducia verso il mondo che l'aveva partorito e verso il senso nascosto d'ogni cosa l'avevano convinto a compiere il tragitto. Raggiunse il mare di plastica e cominciò a nuotare come solo lui sapeva fare. Ma fu terribile l'impatto. E ancor di più il suo moto: andava lento, continuamente disturbato dalla diversa densità molecolare di quello strano mare: eppure, incredibilmente, andava avanti, e lo faceva non tradendo il ruolo suo di gran pagliaccio ittico. Non v'era nessun altro pesce intorno a lui eppure si divertiva a fare sempre il matterello: la forza dell'indole, l'indole che se ne frega del chi c'è e del chi non c'è: l'istinto. E per istinto proseguì il suo viaggio in quelle onde finte, in quei marosi un po' meccanici, in quelle striature fibrose e semirigide che stavano al mare come il cubismo all'arte figurativa. Si sentiva sfortunato, ma fiero d'essere delfino, fiero di non tradir le attese intorno a lui, forte di una bellezza che non poteva temere contraccolpi.
Un giorno gli prese una grandissima stanchezza, chiese al Fato di potersi riposare da qualche parte. Il Fato gli concesse di ormeggiare le sue pinne sull'isola specchiosa, un isola fatta di soli specchi, dove l'immagine che ricorreva era quella del cielo alla rovescia. «Quando vedi il cielo in mare, quella è l'isola. Va e riposati lì». Vi arrivò. Ovviamente si guardò. E si vide, strano, fatto a pezzi, a fasce, a cubi. Squadrato. Chiese al Fato d'essere rimesso in un mare vero. Il Fato gli disse che era meglio di no. Lui insistette. Il Fato rise e lo fece prelevare da un enorme pellicano: lo fece calare nel cuore dell'oceano. Il delfino annaspò, e gli sembrò di farsi in tanti pezzettini: e fu così davvero, in effetti si smembrò, e tutti i diversi pezzi del suo corpo si allontanarono l'uno dall'altro come farebbero tanti pezzi d'una plastica calata nell'oceano vero.
Il delfino cui venne chiesta questa impresa, ottemperò. Si sentiva di poterlo fare, la sua totale fiducia verso il mondo che l'aveva partorito e verso il senso nascosto d'ogni cosa l'avevano convinto a compiere il tragitto. Raggiunse il mare di plastica e cominciò a nuotare come solo lui sapeva fare. Ma fu terribile l'impatto. E ancor di più il suo moto: andava lento, continuamente disturbato dalla diversa densità molecolare di quello strano mare: eppure, incredibilmente, andava avanti, e lo faceva non tradendo il ruolo suo di gran pagliaccio ittico. Non v'era nessun altro pesce intorno a lui eppure si divertiva a fare sempre il matterello: la forza dell'indole, l'indole che se ne frega del chi c'è e del chi non c'è: l'istinto. E per istinto proseguì il suo viaggio in quelle onde finte, in quei marosi un po' meccanici, in quelle striature fibrose e semirigide che stavano al mare come il cubismo all'arte figurativa. Si sentiva sfortunato, ma fiero d'essere delfino, fiero di non tradir le attese intorno a lui, forte di una bellezza che non poteva temere contraccolpi.
Un giorno gli prese una grandissima stanchezza, chiese al Fato di potersi riposare da qualche parte. Il Fato gli concesse di ormeggiare le sue pinne sull'isola specchiosa, un isola fatta di soli specchi, dove l'immagine che ricorreva era quella del cielo alla rovescia. «Quando vedi il cielo in mare, quella è l'isola. Va e riposati lì». Vi arrivò. Ovviamente si guardò. E si vide, strano, fatto a pezzi, a fasce, a cubi. Squadrato. Chiese al Fato d'essere rimesso in un mare vero. Il Fato gli disse che era meglio di no. Lui insistette. Il Fato rise e lo fece prelevare da un enorme pellicano: lo fece calare nel cuore dell'oceano. Il delfino annaspò, e gli sembrò di farsi in tanti pezzettini: e fu così davvero, in effetti si smembrò, e tutti i diversi pezzi del suo corpo si allontanarono l'uno dall'altro come farebbero tanti pezzi d'una plastica calata nell'oceano vero.
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