Toni e timbri

De profundis pimpinella

Toni e Timbri 43 - di Tony D’Ambrosio

De profundis, Panciariccia. E' stato bello fare la tua conoscenza, bello trovarti in mille diversi modi a fare a botte con un quadro, a fare il morto a galla senza pensare che potevi diventare morto senza galla, è stato bello vederti partorire un gemellino e vedere quanto fossi stanco e un po' incazzato nell'attendere le opere di mastro Tony Ambrosianelli che se ne sta come un povero salame qui davanti a me dormiente che ancora non si alza. De profundis Panciariccia e Sanpappana, personaggi troppo ingiustamente rapiti a chissà qual'altra vita, rubati al felice inizio di un racconto che prometteva di trovarvi chissà dove, con chissà quale sviluppo, con chissà quale senso intrinseco ed anche un poco estrinseco.

De profundis, presuntuoso pazzo ed ambizioso, col cretinetti Gadamer sempre alle calcagna a rivoluzionare il sistema decimale e cartesiano e pitagorico... De profundis, Sindaco che non sarai mai, Sindaco che sarò soltanto io, Sindaco che Giammìo Giammai fra un po' dovrà schiattare perché qua a Zigghezzagghe comanderò soltanto io, tutti e nessuno, uno nessuno centomila, io che farò il porto d'aria, io che farò il porto Rico, e che farò pure il dentista salumiere tabaccaio scrittore romanziere e che amerò questa città come mai nessuno l'ha mai amata. Panciariccia le elezioni le perderai perché dentro quell'urna non t'avvicinerai. Sei buffo, vispo, stralunato, troppo simpatico per ronzarmi attorno. Non ci siamo incontrati, Panciasberla, non ci siamo mai incontrati, io e te. Potevo scrivere una scena, ma chi mi garantiva che piega avrebbe preso? Chi mi garantiva che il tale incontro non avrebbe creato un problema su di me? E se mi avessi ucciso, che ne so, per gelosia? O un po' d'invidia? Non posso aspettare ancora Panciagatto mio, non posso aspettar proprio... io devo diventare Sindaco, e devo far dormir di sonni assai tranquilli i miei concittadini, devo farmi erigere un bel mazzo di statue invisibili - perché pare che la non materia non abbia costo alcuno -, perciò non desiderando di sparir per farmi dedicare effigi e monumenti, voglio far del bene ad ogni costo per ritrovarmi eterno eppure ancora vivo. Voglio far del bene e voglio che m'adorino papere e papaveri, voglio fondare una scuola per vegetali, voglio mandare all'università i bambini e su un'isola con tanti grattacieli i miei amatissimi spazzacamini. Voglio un'istruzione elementare e pacifica, corretta e palatristica (che vuol dire non lo so, ma un senso lo daremo a sta parola interessante - e dovrò inventarmi un bel po' di cose interessanti, fra un po' farò iniziare la trionfale ascesa di me stesso allo scranno di Sindacucciolino Sindacone!...), darò tanti mandati, mi inventerò una campagna straordinaria, a cominciare dall'abolizione dell'assurda privazione alle città di esser straordinarie anche loro (campagna di stampa, campagna straordinaria, campagna elettorale... basta! città elettorale, città di stampa, città straordinaria... bravo ! evviva! evvai Geppino!!! Geppino sei tutti nooiii!!! oddio che emozione...); abbasso il razzismo (è stato detto?...); dovremo darci i turni con i minerali e i vegetali, sedani e pimpinelle ad imparare il greco – cosa assai importante il greco, sissì... – rocce a governare la città (vorrei fare miti consiglieri un po' di sassi di mare e tre bei quarzi, all'occorrenza potrà tornare utile anche un po' di buon calcare), e uomini veri a fare un po' montagne, montagne nel senso di stare fermi quattro cinque anni a beccarsi ondate di mare un po' in tempesta, o mettersi caproni farsi nevicare addosso e permettere a carote e un poco di corbezzolo di divertirsi anche loro sciando sulle panze e sulle tette. Turnazione, sarà il mio motto. Anzi, vorrò fare – suona bene – otto motti...

Panciariccia e Gadamer, nel frattempo, e Sanpappana e Satrapo e Finanzio e Numerico con Gino e Regalato e Don Peppino (no, scusate, m'era partita la rima), se ne stavano sospesi nel vuoto ad attendere il da farsi. Era la prima volta che l'urtante sospensione li fermava in una dynamis così violenta e rovinosa. Provateci voi a stare fermi mentre si corre: non facile. Più facile però fermarsi nell'atto di compiere un miracolo (e anche qui...); ma quanto era difficile stare a galleggiar nel vuoto, guardarsi come pesci in un acquario d'aria senza sapere se vivere o morire, senza sapere se si sopravviveva o si chiudeva tutto improvvisamente lì, miserabilmente lì? L'avevano capito. L'avevano capito che era la fine, che si finiva forse lì con questa vita per quanto non propriamente vita (ma tutti s'era alla fine fatto pace con questa cosa che non s'era vivi per davvero - però, a dirla tutta, nascere direttamente a quarant'anni e saltarsi tutti gli anni della scuola... oddio... francamente...). Insomma ci si domandava mutamente - giacché nessuno osava di parlare - perché papà D'Ambrosio avesse deciso questa morte; o c'era dell'altro? Sì ma, come dire, come si rimane in vita dopo una caduta così rovinosa, almeno in apparenza?

- Non disperiamo – ruppe il silenzio De profundis Panciariccia, sospeso come in campo non gravitazionale, leggermente roteando come del resto tutti gli altri, tutti sparsi in un'area di mille metri cubici – Siamo pur sempre personaggi, e si può inventar di tutto...
- Lascia stare sono stufa vorrei solo precipitare giù e godermi questo vuoto che si fa alla pancia... – aggiungeva la sua moglie.
- Precipiteremo – intervenne Franco Scalzi – precipiteremo e moriremo... Ma io non lascio nulla e nessuno, quindi non si soffre nulla, e mi faccio con aria filosofica sto benedetto salto dentro il buio.
- Chi te l'ha detto, hai letto tu il racconto? Chi te l'ha detto che non lasci nulla e nessuno? – incalzante e un poco perfido, forse un po' vendicativo, gli mise la pulce nell'orecchio Gino Triste.
- No che non l'ho letto... ma non mi pare d'avere mai avuto a che fare con qualcosa o qualcuno del genere...
- Potrebbero esserci dei capitoli a parte che parlano di tua moglie, che ne so, della tua bimba piccola che attende di rivedere il padre...
- Ai personaggi minori non si dedicano capitoli di contorno.
- Chi te l'ha detto?
- Lo so e basta.
- Nulla si può dir che detto non sia stato tranne quelle cose che dette hanno ancor da esser... Minor di cosa? A chi?

Non tutti compresero la frase di Gadamerino.
 
- Sta di fatto che tutti qua mi sembra che abbiamo paura di morire ed io non capisco per che cosa. – Franco Scalzi era padrone delle sue parole.
- Fatti capire, ragioniere – un po' cowboy ingiunse Panciariccia.
- Ragioniere lo dici a tua sorella.
- Sei fuori dal partito.
- Nel buco della stella non ci sono partiti e partitelli, solo chiacchiere e null'altro.
- Sei un'esibizionista. Fatti capire – continuava a chieder Panciariccia.
- Si muore e si ha paura di morire se c'è una storia dietro. Noi non ce l'abbiamo dietro questa storia, a parte quattro pagine firmate Ambrosio Antonio.
- Non ti piacciono? – vibrò nell'aria una voce un po' ruffiana.
- Non c'è infanzia, non ci sono nonni, non una terra dimenticata, non anni sepolti e vivi, non l'immagine di un padre che alla nostra età rideva...

Era vero un po' per tutti, in fondo: cosa li faceva attender con timore l'esito fatale: istinto di sopravvivenza? I personaggi possiedono un istinto di sopravvivenza? Oppure affetti? E se sì, quali? Tolti Panciariccia e Sanpappana, muliebri e maritali, questi personaggi quali affetti avevano, quali esperienze che in loro rivelassero quell'anima così umana, quell'anima calcata eternamente dal terrore di non rivedere più chi amiamo? C'erano forse pagine ambrosiane che nessuno conosceva, e che dava a loro quel gravitazional legame al vivere, così tipico di chi i racconti non li vive, ma li legge? Come uomini, uomini veri? Oppure i personaggi – si diceva - sanno d'essere immortali e perciò non dovrebbero aver timore alcuno? Sì però – un pensiero insinuava - anche tanti uomini sono convinti d'essere immortali: eppure quando il chirurgo esce dalla sala e dice dell'amato "è vivo" l'angoscia nel suo culmine più alto mette le ali e si trasforma in gioia. Perché una tale gioia? Perché il tale culmine d'angoscia?

Geppino indugiava a far morire i suoi compagni di racconto come fa il gatto con il topo sospeso per la coda. Le piazze in cui aveva già individuato dove metter le sue statue non visibili eran dieci almeno. Non le aveva mai viste, ma tra una pausa e l'altra del suo scrivere di Zigghezzagghe, se l'era scelte scrutando lo stradario, lasciandosi sedurre dai nomi che sembravano importanti. A Piazza Ammazza no: lì, il Sindaco, avrebbe messo la statua ben visibile, di De profundis Panciariccia... Forza!
Toni e timbri

Toni e timbri

Il paese di Zigghezzagghe

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