Toni e timbri

Dialoghi sopra una stella

Toni e Timbri 30 - di Tony D’Ambrosio

La stella era sempre più grande, e Panciariccia e Gino Triste inseguivan loro stessi, o meglio gadamerici pretesti d'insensata eternità... eh sì, non c'è atmosfera migliore per trattener nel fiato e nella mente opportune consistenze... come quelle del non senso generale di una stella e di una corsa, in quell'attimo narrato e mai vissuto come quando favola apre il naso di un fanciullo a respirare chissà cosa... come lì, esempio, la stella che ora grande si fermava o forse no mentre gli altri a correr sempre più.... Eccoli lì, in fila indiana ad una lega di distanza l'un dall'altro, Panciariccia, Gadamer, e Gino Triste e Franco Scalzi, e Pincolo Difretta e Pascolo Piulento (l'usciere e l'entriere del Partito), e poi Numerico Morato, Satrapo Bisticci e Finanzio Tuttoquanto, i tre contabili che qualche decina d'immaginazioni fà s'erano messi a guardare Gadamer mentre limava la stellina ora più grande ed ora mondo di quell'immaginazione di chi scrive che solo grazie ad essa possiamo immaginar che sopra essa ci sian dei pazzi che... ma chi c'è là?... La Sanpappana!!? E che ci fa la Sanpappana in questa steppa cosmica e stellare? Lei era d'altra parte di racconto, forse un po' dimenticata ma giammai poco affezionata! Che c'entrava adesso lì?

- Sanpappana che fai lì?
-Mi sono rotta d'aspettare, non c'è campo gravitazionale e leggi chimiche a comandare, questo è frutto d'un racconto? Ebbene ho chiesto ad un lettore d'immaginarmi intrufolata dove non entro mai... Ma tu ti rendi conto come ci si annoia a far l'amore o le moine o la cretina o la sensata fra il negozio e tutto il mondo? Ti rendi conto – diceva mentre s'era messa a correr sulla stella, ben felice, gioconda e un po' più snella – quant'è bello stare qui a correre sul bianco della stella e tutto il buio intorno?

La Sanpappana, mentre rispondeva alla voce – solo voce – del suo autore, s'era messa fra Pincolo Difretta (un uomo basso coi galloni e gli stivali, bianchi peli e pochi), e Numerico Morato (alto con le ghette, il collo lungo e gli occhialini ragionierici). A guardarli di lontano, erano una scia nera in controluce: in controluce dal resto del cosmo, con l'avanzo della stella bianca che più bianca non si può. Avete presente quelle file silhouettate di cartone che si mettono alle feste e che fan tener per mano tanti ometti di cartone uno vicin l'altro? Ecco, la fila non era frontale in questo caso, né si potevano tener per mano giacché si distanziavano l'un l'altro di almeno cento metri i nostri eroi: eppure, a vederli correre - a vedere correre i profili di Panciariccia e compagni di merenda - s'annullava lo spazio che spaziava fra di loro perché s'avvicinavano i sensi dello loro marcia, il modo in cui correvano, la velocità costante, calibrata come fossero polvere di stelle che organica alla madre le spalmava intorno tutta la sua mobilità uniforme, partecipe, omogenea. Tutti i nostri personaggi, i legali e gli abusivi – la Sanpappana – correvano in un moto che si definirebbe, se parlassimo di fisica, costante. Tutti avevano perduto il senso della corsa, perché dimentichi, ormai tutti, del perché correvano. Sembravan le figure di un gran burattinaio che per il solo gusto di veder quest'atmosfera mobile girare intorno a questa stella, aveva messo lì a veder tagliare una striscia di cielo scuro e illuminato quei buffi burattini un po' ansimanti ma non stanchi. L'immagine era stupefacente: la stella era diventata un deserto immenso, sullo sfondo del quale regnavano figure di altre stelle stabili: fra le luci della stella, e le luci delle stelle, di una lena compassata ma attiva, solida, non feroce, perduto il senso del rincorrere lasciando in piedi solo il correre, Panciariccia e Gadamer capeggiavano la striscia di cartone nero che seguiva un equatore che si stava in quel momento definendo, quella buffa fila fatta da quei minuti burattini: minuti... Panciariccia non era poi così minuto, si peritava di mangiar gelati durante i più improvvisi allagamenti, si metteva a fare il morto a galla col soffitto che premeva, si spanzava di un figlio gemellino ora abbandonato, insomma faceva poco o niente per badare alla magrezza. I due in testa correvano.

- o perso il senso un po' di tutto – diceva Panciariccia.
- Si.
- Il senso di ogni movimento.
- Così.
- La stella che non c'è... ma dov'è andata questa stella?
- Firme d'autore.
- Perché stiamo correndo?
- Senza tracce non s'arresta nulla...
- Gadamer quanti anni sono che sei vivo?
- Senza alcuna qualità.

Gadamer era questo. Lui rispondeva così. Un'entità con una fibra strana dentro.

- Non sembra anche a te che abbian smesso di rincorrerci? – Panciariccia chiese a Gadamer.
- Le cose smettono ma non smentiscono, il raggio l'ho tagliato, e ora non c'è nulla.
- Eppure hanno smesso di rincorrerci. Non mi volto, non mi va, ma sento di esser tante cose adesso a fare cosa non si sa. Sono Panciariccia mi ravvedo, mi guardo come ora, ecco, tengo giù lo sguardo tanto non mi sembra vi siano molti ostacoli su questa cosa.... vedo i miei piedi... uno due uno due... Gadamer?
- Gadamer.
- Il mondo cambia se mentre compiamo qualcosa ci mettiamo a guardar quel che facciamo – realizzava Panciariccia correndo con lo sguardo verso il basso.
- Ma la stella la raggiungeremo.
- Non sono stanco.
- Fra un po' ci coglierà di traverso l'appetito.
- E qui non c'è nulla da mangiare.

Gadamer e Panciariccia correvano a velocità costante. La stella sotto di loro diventava grande sempre più, senza che questo si potesse percepire. Gino Triste, due leghe indietro, si domandava su che cosa fossero, e Gadamer, due leghe avanti, rispondendo alla medesima domanda postagli da Panciariccia, continuava a dare improbabili risposte.

- Calcolando direzione e senso, credo che ci troviamo dentro al cosmo.

Rispondeva alla ancor medesima domanda Numerico Morato, contabil number one, al suo collega Finanzio Tuttoquanto, cento leghe ancor più indietro, guardando il sedere della Sanpappana avanti a lui. Era evidente che la risposta fosse banale, scontata. Ma era ancora più evidente il sedere della Sanpappana: i suoi glutei sorridenti a raccontare la giocondia di una corsa su chissà che cosa, costituivano un assai numerico precedente, per Numerico Morato, a disturbare una risposta intellettuale. Non si sa come (come se il pullulare immaginifico dei lettori un po' creativi non s'arrestasse mai), non si sa come questa coda d'uomini e di donne ad inseguire il pavimento, s'era fatto tanto lungo. Ogni lettore che s'immaginava chissà chi su questa stella... zac... eccotelo lì: D'Ambrosio faceva fatica a governare il tutto. Tutto, tutto era un po' come allegoria del Partito Azione Riflession Saggezza e Non Occupazione. Impressionante l'ordine di riga mobile. Non sembrava, allontanando l'asse ottico di sguardo e guardando il filarino nero e lungo che muoveva dialogando sopra questa stella, non sembrava ci fossero emozioni, ma eran tanti, costanti e distanti, e quasi ormai facevano equatore. D'Ambrosio decise di scender nel racconto, prese l'ascensore, e piombò a piè pari vicino alla Sanpappana.

- Anzitutto chi è questo qui... – intimò virile alla Sanpappana.

Va detto che la Sanpappana aveva nascosto dentro la sottana, salvo rivelarlo dopo, un mingherlino calvo dal nome Regalato: regalato nel senso che era un regalo, cioè quando questo nacque, il sovrano dicitor dei nomi gli disse che gli avrebbe regalato quel che lui voleva, ma lui ebbe un tentennamento un po' fatale e gli rimase come appioppo il nome ch'era solo un participio: regalato. Ebbene Regalato, una lacrima sul viso, se ne stava a perdifiato accanto a quella donna prosperosa e intelligente quando D'Ambrosio, indicandolo correndo con la punta di un dito non so quale, chiese chi fosse alla nostra Sanpappana.

- E' il mio lettore preferito, legge solo me ma ha letto poco perché poco tu mi hai scritto poco... Ho bussato alla sua porta e gli ho chiesto un bel favore.
- In cambio di che cosa?
- Tu geloso...
- Non mi fare tuo marito cosa gli hai chiesto sentiamo...
- Gli ho chiesto di immaginarmi sulla stella.
- E lui per farlo che t'ha chiesto?
- Di poter guardar nella sottana.
- E tu?
- Tu che avresti fatto?
- Le domande le faccio io e non porto la sottana, sentiamo tu che hai fatto?
- Ce l'ho messo, ma l'imbecille mi ha immaginato sulla stella mentre se ne stava lì. E così, peggio per lui, ci ritroviamo entrambi qui.
- Tu cos'hai da dire? – sempre correndo chiese stentoreo D'Ambrosio a quel Donato, pardon, Regalato, e un po' piangente.
- Chi è questo qual'è l'autorità di lui? – stanco ed impaurito domandò Regalato alla Sanpappana sempre sorridente a correr sulla stella.
- E' D'Ambrosio, il nostro autore. Ora s'è messo in testa di rimproverar l'unica donna, ma ci starà poco. Tu non smettere d'immaginarmi sulla stella e se te ne vuoi andare fallo, ma immaginati solo, te lo raccomando, io non voglio ritornare. E se vuoi liberarti di D'Ambrosio volendo stare qui vicino ancora alla sottana, io te lo concedo, e basta avere un po' pazienza: il mio amato autor, di fiato, ne ha ben poco!...
Toni e timbri

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