Toni e timbri

Difficili momenti

Toni e Timbri 20 - di Tony D’Ambrosio

Che cos'è che fa grugnir gioioso un maiale quando sente che sta per arrivare il cibo nel suo vuoto letamaio? Quale motivo, quale senso? Perché sorride ogni vivente che celebri la cognizione della sua felicità ventura? Cosa accade quando la tensione del cliente attanagliato nel vedere un cameriere arrivare di lontano con un piatto che dopo tanti potrebbe esser finalmente il suo, si scioglie meravigliosamente in una deglutizione a vuoto, sorridente, pregustante, nella certezza che toccherà a lui essere felice? E non potremmo immaginare come, forse, ogni gigantesco marchingegno di una sala macchine borbotti soddisfatto quando senta accender su di sé il neon che illumina l'area della nave o dell'industria in cui si trova? Quanto si riscaldano eccitate le adrenaline di un'atleta quando sta per cominciar la gara? Insomma è più bello gustare o pregustare? Sopravvivere, o ricevere l'informazione che sopravvivremo? Ma ve lo immaginate Panciariccia - e non solo lui, povero, ma anche Franco Scalzi, Gino Triste, l'usciere del pian terreno e l'entriere dello stesso piano (a proposito, perché si dice usciere e non entriere?

Oppure che ne so, perché si dice 'partenti' e non 'arrivanti'?..), il segretario Duesegreti e i tre contabili con Gadamer - ma ve lo immaginate, orbene, con tutti questi figuri accanto a lui, Panciariccia, fin'allora distrutto dall'attesa, mentre D'Ambrosio s'accingeva a scriver finalmente del miracolo, gonfiare lentamente il petto, estender progressivamente gli angoli delle labbra nel sorriso soddisfatto di chi sa che tocca lui, che è il suo momento, che scatta la così meritata ora X di quel che è troppo tempo ormai che siamo tutti qui ad attender, il suo miracolo cioè? Erano due settimane che aleggiava ma non arrivava questo prodigio benedetto, la sua benedetta illuminazione; e malumori, lo sapete, serpeggiavano. Franco Scalzi proponeva da tre giorni uno sciopero della fame. Era ormai un bivacco il pianerottolo in cui Panciariccia era stato raggiunto dagli altri personaggi mentre inseguiva chissà chi. Ve lo ricordate?

Un nugolo di collaboratori sfiniti dalla follia del due più due, da conti che facevano acqua da ogni parte come il palazzo del Partito, e Panciariccia sbraitante assai contro chissà quali fantasmi, chissà quali nemici. Ma eravamo fermi lì da troppo tempo, non stava accadendo nulla, D'Ambrosio s'era divagato su ben altro: bisognava andar da lui. Panciariccia andò, e ritornò da quella spedizione con la sensazione, sorda, di un successo: non chiaro, ma probabile. Era riuscito a convincere gli altri personaggi a darsi una rassettata, a smetterla con questa menata dello sciopero, con questo pessimismo dilagante: bisognava crederci. 'Questo non ha nient'altro da fare nella vita che cominciare pure a scrivere e che ti combina poi, poi ci molla così?': no, bisognava aver pazienza. Sembrò aver ragione, perché quando Tony D'Ambrosio si mise a scriver finalmente del miracolo, quando lo si era visto precipitar sulla tastiera e mormorar quelle parole che portavan come frecce alla rivelazione prodigiosa del nostro amato Panciariccia, come gli attori cui il direttore di scena dia il 'chi è di scena', così, lungo il prologo del miracolo che D'Ambrosio stava dettando alle proprie dita, i personaggi si disposero fisicamente e mentalmente all'azione.

Bellissimi i volti, dolcissimi gli sguardi che i personaggi davano a Panciariccia nella gioia di chi sa quale evento si sarebbe di lì a poco snocciolato davanti ai loro occhi. Sin troppo, sino al punto di perdere di vista la propria identità di personaggi. Al punto che Panciariccia, mentre D'Ambrosio era sul "...si ritrovò miracolosamente, incredibilmente, imprevedibilmente a...", sottovoce, non facendosi accorgere dal suo compenetrato autore, ebbe il tempo di infilare a bassa voce, ai suoi colleghi personaggi un "che fate deficienti, siamo nella pagina...". Ecco, c'eravamo, Tony stava per scrivere il miracolo, eravamo al '...miracolosamente...", Panciariccia fu percosso da un brivido di paura, come quei coraggiosi ed incoscienti acrobati che si ritrovano dentro un cannone pronti ad essere sparati chissà dove: un'istante di paura mista a eccitazione, eravamo ora sull' "...incredibilmente...", cresceva il senso della propria importanza, la coscienza ritrovata del proprio essere protagonista, l'eletto Panciariccia del D'Ambrosio, il segretario folle che voleva strozzare un quadro, il geniale equiparatore dell'essere e del fare, il prediletto, insomma, di chi stava sciogliendo finalmente, con quell' "...imprevedibilmente...", anche quel miracolo, quella meraviglia che...

- Insomma chi è cosa volete!?

Un gelo sul pianerottolo. D'Ambrosio era sbottato smettendo di scrivere. La segretaria entrava spiegandogli che c'era Geppino Fottuttìo che voleva incontrarlo e parlargli. A chissà quale quadratura spazioquantotemporale di distanza, Panciariccia emise un urlo sovrumano. Gino Triste, il più cretino della compagnia, sottovoce chiese a Franco Scalzi se fosse quello il miracolo. Il gomito che gli entrò nel costato incrinò una costola che lo fece urlare più di Panciariccia. I personaggi si guardarono l'uno negli occhi dell'altro. D'Ambrosio non lo sapeva, ma stavano tutti ascoltando quel che stava dicendo con la segretaria Alberotanza. Panciariccia aveva il volto tumefatto, profondo, gli spuntò una ruga.

- Geppino Fottuttìo... – mormorò con odio istantaneo guardando negli occhi tutti e poi nessuno.

L'usciere si accasciò a terra sconsolato. "D'Ambrosio - pensò Panciariccia -, io a te non t'ammazzo ora... non t'ammazzo qui... ma a quell'altro, ovunque vada, ovunque sia... a quell'altro sì..."...
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