Toni e timbri

O si pensa, o si crede

Toni e Timbri 10 – di Tony D’Ambrosio

Il segretario Giondibotti si precipitava insù per le scale del partito per recar velocemente al presidente Graziassai le risultanze degli ultimi bilanci. Era tutto chiaro nella testa: rendiconti e uscite, numeri e algoritmi. Il presidente Graziassai si stava peritando a scrivere dei conti sul quaderno del nipote, che per terra a gambe larghe si profondeva a smanettare un giocattolo di quelli per cui bisogna infilare una stella nella forma di una stella, un tondo nella forma di un tondo. Giondibotti venne fatto entrare, ma stava per aprir la bocca quando il presidente, il volto corrucciato, lo fermò col gesto di una mano. Il calcolo impegnava il presidente oltre ogni previsione. Giondibotti prese timidamente ad avvicinarsi al presidente del Partito-d'azione-riflession-saggezza-e-non-occupazione. Giunto a pochi passi dal Graziassai, rifece con la mano come a dire 'posso?' ma di nuovo si beccò da parte del presidente uno sguardo tanto fugace quanto impressionante. Da lì però si poteva veder la scena che si palesava dalla scrivania: una vecchia e salda mano immobile con la punta della penna ad un centimetro dal foglio.
  • Venga qua Giondibotti
  • Subito Presidente.
  • Lei si ricorda quanto fa due più due? – lo fulminò il presidente quando l'altro era ormai giunto, fermo in piedi, alle sue spalle.
  • Quattro senza ombra di dubbio signor presidente.
  • E perché a me risulta cinque?
  • In che senso Presidente?
  • Nel senso che a me risulta cinque, cinque, due più due risulta fare cinque...
  • Ohibò...
  • Cosa vuol dire ohibò, Giondibotti...
  • Vuol dir che se le cose così stanno dovremmo riveder tutti i bilanci...
  • Perché?
  • Perché le scienze esatte non presumono di poter lasciare libera una parte del tutto. O tutto, o niente - soggiunse sicuro di sé il nostro segretario.
  • Ebbene si metta al lavoro Giondibotti... – ingiunse il presidente voltandosi all'indietro e fissando il suo sguardo dal basso verso l'alto negli occhi dello spaventato segretario.
Dopo qualche ora tutte le agenzie territoriali affini alla parte politica del Nostro comunicavano a mezzo stampa la revisione matematica del principio pitagorico di divisione e moltiplicazione: tutto, infatti, era messo a soqquadro da questa dispari rivoluzione. Eh sì perché se due più due fa quattro, tre più tre fa setto o otto? Il presidente si mise, con ogni sforzo, a riformar le tabelline. Mentre il nipote se ne stava sempre là a tentare di infilar la stella nel tondino, il nonno, eroe, pose le basi per la revisione numerica del calcolo. Gli costò caro. Perché ci morì, di stenti. Ma da allora, fedelmente, a più nessuno, per lo meno a più nessuno dei compagni suoi, venne in mente di dir che quattro più quattro potesse fare otto: si era incerti fra il nove, il dieci e, a questo punto, l'undici. Quando chiusero la bara con la salma dell'Illustre, una buona mano vi infilò, prima di non poterlo fare più, un libercolo l'eterna compagnia del quale era stata evidentemente chiesta dal presidente Graziassai: era di Arthur Schopenhaur, e si intitolava :"O si pensa, o si crede"...

Venne eletto Panciariccia, il dottor Panciariccia, un esimio avvocato più esimio che avvocato. Da sempre nei quadri dirigenziali del partito, s'era fatto avanti e aveva vinto grazie ad uno slogan stupefacente, il cui senso era nato dalla difficoltà continua in cui aveva visto versare il nipote del Graziassai buonanima ogni volta che, insieme ad altri colleghi di partito, s'era messo nello studio del Presidente a far raccolta dei documenti del defunto per catalogarli e, soprattutto e comprensibilmente, fare spazio: erano tutti candidati, e bisognava ridisporre la presidenza. Ebbene accadde che una volta, rimasto solo ad esaminare varie documentazioni, s'accorse che il nipote del Graziassai buonanima si trovava in difficoltà particolari (non va aggiunto evidentemente, vero?, che il nipote del nostro aveva avuto dal Partito-d'azione-riflession-saggezza-e-non-occupazione la rendita, come dire, vitalizia, ad usufruir con libertà di quello studio, come ne fosse diventato un suppellettile vivente o meglio, forse, una bandiera in carne ed ossa, l'icona di una giovinezza eterna che lustrasse quell'ambiente della sua purezza). Il ragazzo, a dir la verità, si trovava nel difficile da tempo assai: perché era tempo che la stella non riusciva ad infilarsi nel tondino (il gioco, ricordate?). Se ne avvide l'avvocato Panciariccia, se ne avvide e si mise accanto a lui a studiare il problema. La stella proprio non entrava: andava dedicata una riflessione più profonda. Panciariccia prese il gioco e se lo mise sulla scrivania. Si lambiccava ma non riusciva, neanche lui riusciva a quadrare il cerchio o meglio, a stellinare il tondo. S'era sovvenuto di una lima, una lima che il defunto teneva in un cassetto. La prese e cominciò a smussare gli angoli della stellina. Il nipote del buonanima lo guardava interdetto. Lavorò per delle ore, uccidendosi quasi dallo sforzo, ma alla fine ce la fece: la stella entrò.

Lo slogan con cui vinse le elezioni era: 'se l'apparenza inganna'.

Non aggiungo adesso la rivoluzione che dovette subire tutta la fisica newtoniana dopo l'esperimento del Panciariccia. Ma anche qui va detto che chi non la pensava come lui, i politici dell'altra sponda, quelli del Partito- non d'azione- non di riflessione-non saggezza-e-non-non-occupazione come prima continuarono a pensar che due più due facesse quattro, ora seguitarono a creder sempre come le stelle... insomma lo sapete voi...
Toni e timbri

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