Toni e timbri
Provincialismo e provincialità
Toni e Timbri 3 - di Tony D'Ambrosio
sabato 4 luglio 2009
Potremmo dire quant'è provinciale affacciarsi alla finestra e sperando di non esser visti voler vedere il mondo intero. Potremmo dire quant'è provinciale attendere che sia l'altro a far la prima mossa perché si sente sulle spalle il peso di un popolo visibile, sicura platea giudicante….
Potremmo dire quant'è provinciale aver paura di rifare i muri, magari di abbassarli o metter su quei muscoli potenti che ci spingano a buttar binocoli e procedurare gambe e braccia. Potremmo dire quant'è provinciale l'odio per l'eccessiva vicinanza di un alter ego imbarazzante. Potremmo dire quanto peso ha il relativismo antropologico se ad ogni istante esso va a introdursi petulante nelle maglie orarie di un giorno piccolo come il luogo in cui si vive e muore.
Com'è arduo sopportare Abele se siam costretti a viver tutto il giorno in ascensore.... Ma non si potrebbe dire invece come solo in fazzoletti minimi e quadrabili di Madre Terra si possan progettare azioni più vicine al dogma del biblico "...tuo prossimo...?". Si può forse amare il nostro prossimo se ce lo ritroviamo prossimo ma dove, oltre l'orizzonte?Non è soltanto la provincia il luogo che, storto e umano, troppo umano, ci consente di vedere di sperare di sentir progetti umani anche se troppo umani? Non forse in essa possono fiorire i paradigmi più fedeli di un affetto solidale e tollerante e non dietro una maschera catodica e, mi raccomando, a sicurissima distanza dalle nostre sicurezze?
Non è forse la provincia l'unico teatro possibile per l'uomo? E non é forse essa la fucina del ciarpame che vien sempre fuori da ambizion dismessa e rivelata nei fratelli? Insomma, meglio quattro piani che un grattacielo intero. Ma l'inquilino che dovesse fare i conti in tasca a chi gli è sopra, come farebbe se chi sta su è distante cento metri?
Potremmo dire quant'è provinciale aver paura di rifare i muri, magari di abbassarli o metter su quei muscoli potenti che ci spingano a buttar binocoli e procedurare gambe e braccia. Potremmo dire quant'è provinciale l'odio per l'eccessiva vicinanza di un alter ego imbarazzante. Potremmo dire quanto peso ha il relativismo antropologico se ad ogni istante esso va a introdursi petulante nelle maglie orarie di un giorno piccolo come il luogo in cui si vive e muore.
Com'è arduo sopportare Abele se siam costretti a viver tutto il giorno in ascensore.... Ma non si potrebbe dire invece come solo in fazzoletti minimi e quadrabili di Madre Terra si possan progettare azioni più vicine al dogma del biblico "...tuo prossimo...?". Si può forse amare il nostro prossimo se ce lo ritroviamo prossimo ma dove, oltre l'orizzonte?Non è soltanto la provincia il luogo che, storto e umano, troppo umano, ci consente di vedere di sperare di sentir progetti umani anche se troppo umani? Non forse in essa possono fiorire i paradigmi più fedeli di un affetto solidale e tollerante e non dietro una maschera catodica e, mi raccomando, a sicurissima distanza dalle nostre sicurezze?
Non è forse la provincia l'unico teatro possibile per l'uomo? E non é forse essa la fucina del ciarpame che vien sempre fuori da ambizion dismessa e rivelata nei fratelli? Insomma, meglio quattro piani che un grattacielo intero. Ma l'inquilino che dovesse fare i conti in tasca a chi gli è sopra, come farebbe se chi sta su è distante cento metri?