Apatheia

Il mare della mia città

Come passa veloce il tempo da un’estate all’altra

Ho fatto il turno di notte ed è stato abbastanza massacrante. Tornato a casa ho trovato mio figlio già deciso col suo zainetto traboccante di giochi stipati, pronto per andare al mare. Gliel'avevo promesso. Avrei voluto dormire almeno un minuto ma come si fa a spiegarglielo ad un amore che ti guarda sprizzando gioia da tutte le parti e che non vede l'ora di tuffarsi? In verità il mare non mi attrae più come una volta, anzi, quasi per niente, mi sento ormai un fauno che se ne starebbe in campagna a leggere sotto un albero lisciato dal vento che stride i rami stagliati nel cielo blu, frastagliato dalla frondosa chioma, ma la voglia di mio figlio è pari al canto delle famose sirene ammaliatrici. Così dovrebbe essere per tutti. Ho stirato le mie forze e con lui mi sono avviato beccheggiando nella calura. Giunti sulla spiaggia, ho osservato mio figlio tripudiante, giocare con le onde. Pago e quasi sognante, ho rivisto gli anni passati, da quando mio figlio aveva un anno fino ad ora che ne ha sette. Nella mia mente l'ho visto crescere su quella battigia anno dopo anno, nuotare con il pannolino nella vasca gialla gonfiabile, restare sorpreso dei miei castelli di sabbia da distruggere con i suoi piedini, l'ho visto fare schizzi dentro il salvagente di Paperino, poi con le pinne, i braccioli e con le sue decisioni avventate, l'ho visto nuotare, immergere il capo sott'acqua, ho trattenuto il mio respiro insieme al suo.

Sono andato anche oltre, l'ho visto crescere ancora, più di quanto non sia, l'ho visto divenire adulto e chiedermi conto. Ho visto le sue braccia glabre fortificarsi, il suo sguardo ingolfato dai primi dubbi ed inquieto per i primi amori, l'ho visto varare per altri lidi nascosti alle mie paure. Come passa veloce il tempo, mi son detto sgomentato, così veloce da dover essere a tutti i costi ladri astuti, ladri di istanti che corrono via per non tornare più. Bisogna essere abili pittori che dipingono minuziosamente ogni sfumatura del tempo mentre si dilegua, anche quelle bigie, fino a quelle sgombre e quelle noiose che appaiono senza fine. Finiscono. Quella calura si è interrotta per un attimo sopraffatta da una folata gelida tanto da dovermi avvoltolare improvvisamente nel mio telo da mare, anche la stanchezza si è diradata come nebbia ad un tifone. Mio figlio è tornato bambino ed era lì vicino a me che costruiva castelli di sabbia.

Questo nostro mare, il mare dei nostri bambini, le glauche onde che respiro, da lontano guardo le loro danze sconfinate, le loro musiche che si sollevano riguardose e approdano alla mia terra, cingono i miei fianchi, poi s'infrangono sulla pietra bianca, lisciando sassi fragorosi, vetri smeraldi e bruni, anno dopo anno inondano i miei solchi cerei, uggiosi di caligine, bruma di giorni senza ritorno. Questo nostro mare, vorrei ritrovarlo così, coi pomeriggi ruvidi di sale, l'acqua limpida di sogni, vorrei tornasse così con le sue onde marine e il vento che mormora dondolando il sipario, soffia scintille ai capelli e alle luci assopite, le sue acque limpide senza tracce di uomini, sciabordii che nascono al crepuscolo e non muoiono più. Così lo vorrei ancora, questo nostro mare, quello di quando ero io bambino, il mare della mia città.
Apatheia

Apatheia

La rubrica di Rino Negrogno

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