Apatheia

Un paese occupato

Intervento in rime di Rino Negrogno

Ho la sensazione, con qualcun altro, non molti per la verità,
qualche amico ed altre anime sparse qua e là più o meno lontane,
di esser improvvisamente parte di un popolo occupato.
Un'occupazione lenta, flemmatica quasi piacevole, non proclamata,
vigorosa nel confondere le menti, popolata di spettacoli e film
confezionati come missili di una precisione ineffabile.
Film avvincente di regista arguto che coinvolge fino
a farci entrare nel suo mondo senza dimensione,
fatto di quei colori scoloriti che col tempo ci sembrano irresistibili,
ci rendono nostalgici anche verso il dolore più insolente;
diventiamo noi gli attori, ciechi, dimentichiamo
cosa ci spetta e cosa ci aspetta ed attendiamo in fila mansueti
il padrone che assegna a ciascuno la parte inversa o comunque diversa,
cosicché nessuno prenda coscienza di essere o della sua pena
e s'infuochi della speranza di sopraffare prima o poi il suo fraterno nemico,
diventargli il ricco padrone, il suo carnefice se occorre.

Questa è la sensazione che ho, che mi accompagna come un ombra stanca,
più ci penso e più mi convinco di essere in un paese occupato.
E guai a dirlo, a riferirlo a qualcuno, a farglielo notare, guai;
se non ti coprono di insulti, ridono, ti sputerebbero in faccia superbi
se potessero, diventano sicuramente isterici, schifati
come se ci fosse merda per terra e ce n'è da far svenire
e tu, per evitare che essi la calpestino, glielo fai notare,
loro non ti ringraziano ma si adirano perché hai mostrato
ai loro occhi lucidi la merda, gliel'hai fatta notare.
Il popolo non è rassegnato ma non perché spera di rovesciare il padrone,
è un padrone nuovo, anzi antico ma con vesti nuove, è irriconoscibile.
Non è rassegnato perché, giacché è in un film, nel primo tempo del film,
quando tutto deve ancora mostrarsi chiaramente, ritiene di aver avuto la fortuna
che gli sia stata assegnata la parte migliore, di poter aspirare al trono
che osserva, perché si fa di tutto per mostrare la parte splendente al popolo,
gli si fa credere che tutti possono diventare padroni, basta essere liberi,
far parte della comunità più potente, quella data per vincente e si diventa tutti padroni di qualche servo sporadico,
si trova un servo qua e là per scaricare i nervi,
per farlo a pezzettini, si può tirare a sorte, ci sono ancora degli stranieri fuori.

Sono certo di essere in un paese occupato e questa volta
non ci saranno americani pronti a liberarci,
non ci saranno russi, giapponesi, tedeschi, non ci saranno guerre.
Nemmeno la rivoluzione o profeti per la sopportazione.
Il padrone è ormai amico, ci vuol bene, ha il nostro denaro, ci fa da mangiare
e ci fa bere, ci fa ubriacare, ci fa fumare e ci fa ammalare,
ci fa pagare per poterci ammazzare, finge di curarci per un po'
finché ha i soldi, dice di non volere l'eutanasia, per carità, però poi
ci abbandona nelle nostre case piene di fantasmi e di parenti stanchi.
Fuori dal film si scambiano il denaro, quello vero,
non lo straordinario dei lavoratori, le tasse e le pensioni,
la ricerca, l'istruzione, la casa e il cimitero,
i fondi destinati alle migliori anime nostre e loro.
No. Quello vero, quello che non si vede e che a nostra ed a loro insaputa
si trasforma in case, lauree, auto di lusso, risate a crepapelle puttane e
facce da cazzo a cui ci siamo talmente abituati da sembrarci amorevoli familiari.
Siamo in un paese occupato, un mondo occupato e non vengano
tra un po' di anni falsi studiosi di falsi fenomeni che sospettano
la presenza e la colpa di alieni provenienti da un pianeta ora sconosciuto.
Anche la storia è impreparata, non ha nulla per paragonarsi
ed enunciare corsi e ricorsi di se stessa, si è fermata sfinita.

Siamo in un paese occupato e, temo, profondamente temo,
sarà difficile liberarsi da noi stessi, da quello che siamo diventati,
senza sforzi, senza aiuti, senza costrizioni, da soli,
con i nostri soldi, le nostre spese, i nostri natali, pasque
ed altre feste per distrarci, con i nostri bambini vestiti da ricchi
e le nostre scuole migliori, palestre migliori, piscine migliori.
Con il capitale, dove abbiamo permesso che si accumulasse
e dove abbiamo lasciato che ne fosse privato,
dove abbiamo guardato la fame senza scomporci,
i bambini morire continuando a cercare discariche lontano da noi
e le bombe, gli uomini bomba e che si getta sotto un treno,
e le mamme piangendo restando mamme,
le uniche che forse ancora possono salvarci.
Siamo andati via in silenzio, senza guardarci, senza parlare,
come se fosse normale, da soli ci siamo presi un padrone
e lo abbiamo reso forte, più forte di noi, imbattibile.
Apatheia

Apatheia

La rubrica di Rino Negrogno

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