Toni², Tony al quadrato

In or out. Il gioco momentaneo della divinità

Un uomo scavalca la finestra e si lascia andare giù...

Siamo al decimo piano d'un albergo: un uomo scavalca la finestra e si lascia andare giù. Da dove esce? Dalla vita? Esce da materia? Esce dagli affetti? Esce dai dolori? Esce dal passato, esce dal presente e pure dal futuro? Esce dalle sue idee? Esce dai suoi convincimenti, dai suoi amori, dai suoi tradimenti, dalle sue fotografie? Esce dai ricordi? Esce dalle gioie dei suoi figli o dalla morte dei suoi cari? Esce dalla sua viltà, dalla sua malizia, dall'idiozia d'un padre o dalla dolcezza d'una moglie? Esce dal senso che voleva dare alla sua vita? O esce dalla sua imprevista piega? Da dove esce, esce da una malattia? Esce da ogni incubo ed esce anche dai suoi smarrimenti? Esce dalle mine sparse dentro il suo volere, e dalle schegge esplose dai suoi nulla? Esce da tutti, da tutti gli altri? Esce anche da se stesso?

E dove si potrebbe dir che Tizio entri? Nell'aria vuota sotto a lui? Nel gioco momentaneo della divinità? Nell'eternità di sé o del suo non essere? Nei ricordi di chi l'ama, ora generosi nella devozione, prima gravidi di discussione? Entra in un attimo senza futuro? Ripetibile prima del niente? Entra in un sogno senza speranza, dentro una angoscia senza tristezza, dentro un nudo pensato dalla nascita senza il tempo di vestirlo del suo vero abito? Entra nell'anticamera del paradiso? O nel postribolo della totale inesistenza? Entra nell'orfano che s'industria a trasformare lentamente il suo dolore in un senso della vita? Entra nel cuore che diventa pietra, e che si farà lentamente un piccolo altarino? Entra nel rovescio dell'esistere, nel rovescio d'un guanto che rivela tutto quel che avanza cioè, intero, l'universo tranne lui? Entra nella brevità di quella riga tanto stretta che divide il battito d'una farfalla della vita, con il terremoto dell'essere che non ci vede, che ci vede apparire come onde periture e irripetibili?

E se adesso vi dicessi che quest'uomo non era dentro la sua stanza? Né in fondo a un corridoio? Se vi confessassi, ora, che prima di scavalcar quella finestra, quell'uomo si trovava su un'impalcatura mobile all'esterno del palazzo per pulirne i vetri? E la scavalcava solo per rientrare dentro, alla fine del suo turno di lavoro? E la scavalcava senza correre alcun rischio, lasciandosi andar giù di quei venti centimetri per farlo toccar terra? Adesso chi mi dice dov'è che entra, da dov'è che esce? Oiiiii, qualcuno mi aiuti! E' sufficiente scrivere che l'uomo esca dalla vuota aria intorno a lui ed entri dentro le sue idee? Basta scriver che rientrava nella sua malizia, o che rientrando in quelle stanze rientrava nel passato? O magari, chi lo sa, è dentro, il postribolo della totale inesistenza? E' dentro, il gioco momentaneo della divinità?
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