Agorà

Chi fa politica capisce i problemi di chi non la fa?

Nuovo intervento politico di Mauro Spallucci

Di recente ho avuto la fortuna di trascorrere una giornata in compagnia di Giulio De Rita, figlio di Giuseppe De Rita, presidente del Censis. Giulio oltre ad occuparsi di sociologia, collabora con l'Istituto Censis ed opera nel mondo dell'impresa nell'ambito della responsabilità d'impresa per il bene comune. In Italia molte aziende stanno ottenendo questo riconoscimento di qualità, applicando metodi innovativi che mirano soprattutto a creare nel mondo del lavoro comunità di uomini capaci di crescere insieme, condividendo scelte e progetti di impresa che permettono crescita e futuro uscendo così da crisi strutturali. Tra l'altro, con Giulio, ci si confrontava sulla situazione generale, sulla necessità di un cambio di rotta, anche politica, sulle caratteristiche della classe dirigente di un Paese. A lui aprivo il mio cuore dicendo che una vera classe dirigente deve evitare che i poveri diventino delinquenti. Una vera classe dirigente deve essere capace di costruire scenari e contesti favorevoli, anche cittadini, offrendo speranze per un possibile mondo migliore.

Giulio mi preannunciava quanto emerso nell'ultimo rapporto del Censis. Per uscire dalla crisi occorre mantenere la barra dritta su cinque punti essenziali: ridare spazio all'economia reale contro le bolle della finanza, ragionare con la logica del lungo periodo contro il respiro corto dell'emergenza, eliminare i conflitti interni tra il nord e il sud dell'Italia, rendere la nuova relazionalità un punto di forza che si evince nel mondo del volontariato, nei movimenti e nel sociale, ricostruire la rappresentanza nella politica. Inoltre, mi faceva notare che è necessario fare emergere i valori guida che sono utili al miglioramento della convivenza sociale. Tra di essi, i più gettonati sono: moralità,rispetto degli altri, solidarietà, serietà, impegno politico, far bene il proprio lavoro. Ricordo che De Gasperi abbia detto che, per risolvere i problemi, vi sono vari metodi: quello della forza, quello dell'intrigo, quello dell'onestà. E concludeva: «Voglio essere un uomo che ha l'ambizione di essere onesto».

Inoltre con Giulio si è parlato di economia, di lavoro, di disoccupazione, di relazioni. Già. Tenendo gli occhi ben aperti, si scopre che molti italiani (e quindi anche molti tranesi) non sono più attratti dai furbi. L'arte dei furbi non è più una virtù invidiata, ma un vizio squalificato e svergognato. La parola che serve per migliorare la convivenza sociale si chiama finalmente con il suo nome: onestà, anche intellettuale. Iniziando dalla classe dirigente: politica, istituzionale, economica, sociale. Cominciando con il porsi una domanda: chi fa politica capisce i problemi di chi non la fa? E noi cattolici, dove stiamo? Da che parte stiamo?

Le analisi e le elaborazioni politiche non bastano. Serve l'azione politica, cioè lavorare insieme sui progetti. Non cattolici in un nuovo partito, ma attivare un nuovo coinvolgimento operativo non partitico, bensì civile. Politico in qualche modo sì. Noi cattolici più che formare un partito, potremmo esprimerci concretamente creando una leadership in uno schieramento. Un cattolicesimo responsabile, soprattutto verso il prossimo, il più vicino. Ma questo incessante avvicinarsi non è omologazione.

«Nella prossimità - dice il filosofo Massimo Cacciari - occorre mantenere anche la distanza, senza di cui l'amore diventa identificazione, se non fagocitazione dell'altro».
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