Apatheia

Il barbone della stazione

Il barbone è uno come tanti, senza un posto dove andare, senza sogni

Al tramonto s'incamminava lentamente verso la stazione ferroviaria trascinando i suoi piedi gonfi, dentro scarponi smangiati da marciapiedi senza fine, i suoi capelli lunghi e crespi s'indoravano al crepuscolo arrotolandosi come una sciarpa di seta adagiata sulla giacca marrone di velluto. Portava a tracolla uno zaino rattoppato da dove fuoriusciva una bottiglia di plastica piena di vino e una coperta di lana marrone come quelle delle caserme e degli ospedali. Giunto alla stazione stropicciava i suoi occhi intorpiditi dalla luce gialla della sala attesa, racimolava dei mozziconi abbandonati da viaggiatori frettolosi, pensava ai suoi che erano rimasti immobili dietro le palpebre e facevano bene a vergognarsi di lui, pregava perché non finissero male e bestemmiava il freddo che tra le rotaie e nelle sale d'attesa corre già a settembre. Finalmente era sulla sua panchina, gli sembrava un salotto come tanti, solo senza pareti, un saluto ed un brindisi senza occhi con i compagni di tante notti intermittenti, le pietre riflesse e sfocate sui finestrini dei rapidi in transito che volano via come la speranza giorno dopo giorno. Il vino è finito non resta che aggranchirsi sotto la coperta troppo corta e vedere come passa un'altra notte e se i piedi si sgonfieranno almeno un po' fino a domani. Ascolta. I cani passano leggeri fiutando valige reboanti e le zanzare sul soffitto restano incerte ma senza bisogno di nascondersi. Il barbone è un poeta come tanti, senza le parole, senza il tempo, solo con lo sguardo e solo con la sua barba.

Questa notte la stazione è chiusa perché il barbone è sporco e non è piacevole da guardare, poi, la stazione è dei viaggiatori, è dei treni in ritardo, di quelli zeppi che non ti fanno respirare, è dei treni che non si fermano più. Il barbone resta immobile insieme ai suoi compagni per qualche minuto dinanzi al cancello chiuso come per loro chiuso è sempre stato il mondo, con la sua fretta da barba rasata e dopobarba ogni mattina. Si guardano, vanno via in silenzio. Peppino riamane un passo indietro, si domanda: "Ma come non dicono niente? Va bene per me che sono qui un po' per scelta un po' per caso. Ma Giovanni che è qui perché ha perso il lavoro e Vincenzo che ha perso la casa. Non dicono niente?" Poi va via anche lui, con quella rassegnazione tipica di chi conta i sassi tra le rotaie. "Ci sarà qualcuno che si preoccuperà per loro" pensa già distratto. Il barbone è uno come tanti, senza un posto dove andare, senza sogni, solo con se stesso e solo con la sua barba.
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La rubrica di Rino Negrogno

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