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"Processo alla Repubblica bis"

Lettera in Redazione di Francesco Tomasicchio

Sebbene il tema della Riforma Costituzionale sia ultimamente oggetto di dibattito e di forti contrasti, le perplessità intorno alla Costituzione ed alla sua struttura sorsero sin dai tempi dell'Assemblea Costituente. Con buona pace del Presidente del Consiglio, il quale richiama spesso una lettera (e troppo spesso citata a sproposito) di Salvemini indirizzata al suo alunno Ernesto Rossi nella quale diceva: «Ho letto il progetto della nuova costituzione. E' una vera alluvione di scempiaggine. I soli articoli che meriterebbero di essere approvati sono quelli che rendono possibile emendare o prima o poi questo mostro di bestialità», già nel 1948 alcuni autorevoli giuristi espressero le loro perplessità sulla Costituzione ed, in particolare, sul ruolo del Senato: è il caso di Piero Calamandrei, secondo il quale la Costituzione «non era sufficientemente chiara», di Benedetto Croce, secondo cui la Costituzione «mancava di armonia e coerenza», o di Costantino Mortati ma anche di Don Luigi Sturzo ed altri uomini politici di spicco. Anzi, probabilmente, il più costante nell'intervenire sull'argomento ed il più pregnante (quanto meno in termini politici e non giuridici) nei contenuti fu proprio il fondatore del Partito Popolare.

Non a caso, proprio Don Sturzo ebbe a dire, in occasione di una seduta al Senato datata 11 luglio 1958, che: «è proprio il Senato che dovrebbe ridare fiducia nello Stato, vigilando sulla pubblica amministrazione, curando l'equilibrio dei poteri ed assicurando al cittadino la garanzia contro lo strapotere degli enti pubblici» ; l'intervento di Sturzo verteva anche sulla elezione diretta del Capo dello Stato che dovrebbe rappresentare «la nazione e non i partiti»; ancora, sull'eccessiva ed inutile presenza incombente dello stato in ambiti ultronei rispetto ai fini istituzionali ad esso propri, egli ebbe a dire altresì: «non posso sopportare l'aria greve e soffocante dello statalismo. Quel che più mi disturba è la constatazione che gli italiani si sono talmente adagiati all'idea di uno Stato-tutto, che nessuno ha più ritegno di invocare provvedimenti e interventi statali per la più insignificante iniziativa». Dunque, possiamo certamente notare l'attualità che queste parole hanno a distanza di più di cinquant'anni da quando furono pronunciate.

Come già ribadito in precedenza, Sturzo è soltanto uno fra i tanti autorevoli uomini politici e/o giuristi dell'epoca che ebbero il coraggio di criticare ed evidenziare ciò che non andava nel sistema costituzionale; tuttavia, ci sono stati altri personaggi politici, che ancora alla fine degli anni settanta denunziavano la sottomissione della Costituzione alla partitocrazia ed agli interessi di palazzo (donde la distinzione sgradevole, per degenerazione dell'originaria definizione di Mortati, fra Costituzione formale e Costituzione materiale), teorizzando - per citare l'esempio del MSI e di Almirante - un Senato rappresentato dalle categorie sociali. Infatti, proprio ad Almirante si deve il pamphlet dal titolo : "Processo alla Repubblica". Certo è che, all'epoca, i criteri di selezione delle classi dirigenti dei partiti (classi destinate a rivestire, poi, le più importanti cariche pubbliche ed istituzionali del nostro Paese) garantivano la compresenza di qualità rappresentate, da sinistra a destra passando per il centro, da esperienza, senso dello Stato, competenza (accanto ai portatori di voti e di tessere, tutti i partiti avevano cura di fare eleggere giuristi ed uomini di cultura di prim'ordine) che rendevano meno complesso il lavoro legislativo, riscuotevano il legittimo affidamento dei cittadini e, in quanto eletti con un sistema che consentiva al cittadino di scegliere il proprio rappresentante, erano certamente dotati di indiscutibile legittimazione popolare: il che ne aumentava l'autorevolezza.Oggi, al confronto, possiamo dire le medesime cose? Osservando la situazione di Montecitorio e dintorni, direi di no.

Credo che l'aver ideato, così frettolosamente, una " pretesa " riforma che riveda ben 47 articoli, senza una ampia condivisione di tutte le forze politiche rappresentative, ma soprattutto con un parlamento eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale dal Giudice delle Leggi e che regge un governo a maggioranza raffazzonata e spesso costretto a richiedere il voto di fiducia, sia un'azione tanto temeraria quanto perniciosa per il livello di democrazia rappresentativa presente nel nostro paese. Pertanto, a mio modesto avviso, teniamoci stretta la Costituzione redatta da uomini del calibro di Bozzi, Einaudi, Codacci Pisanelli, Ruini, La Pira, Mortati, Moro, Dossetti, Di Vittorio, Calamandrei, Concetto Marchesi, Bettigol, Lussu, Fanfani, etc. etc.; a me pare che un confronto con molti dei legislatori di oggi appaia davvero improponibile e sia, pertanto, ragione sufficiente per decidere coerentemente come votare.
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