Storie di città

«Mi chiamo Fatima, ho 12 anni, sono marocchina e corro sempre»

Rosa Barca e le nostre storie di città

«Io non piango mai. Ho imparato da sola a non piangere. Questa è la prima volta che racconto la mia storia a qualcuno e che piango». Fatima ha 12 anni, è in Italia da due e adesso sfida l'intolleranza, lo sguardo di chi fa, ancora, la differenza. Fatima è una bambina marocchina. Gli operatori dell'Oasi 2 la descrivono come una bambina piena di grinta, testarda. Si considera fortunata perché è venuta in Italia per poter continuare gli studi, grazie al suo papà che spacca le pietre con fierezza per permetterglielo, per assicurargli una vita diversa, una vita migliore. Non tutti possono farlo nella sua terra.

Fatima è una piccola grande amica dell'Oasi 2. A dispetto dei suoi 12 anni, aiuta i più piccoli con l'ostica lingua italiana. Lei, grazie all'ostinazione che la contraddistingue, l'ha imparata in un solo mese. «Ho conosciuto italiani e albanesi, non solo marocchini – dice – ed è stato bello. Per me sono tutti bambini, capito? Io non faccio distinzioni, voglio solo avere degli amici. Se uno non sa le cose, cerco di aiutarlo. Se io non so qualcosa, mi aiutano loro».

L'Italia come Casablanca: così la immaginava. Piena di persone diverse e case colorate. La realtà si è rivelata diversa. Brutta cosa i pregiudizi della gente, di quegli stessi compagni di scuola che ridono di lei perché è marocchina, che non fanno amicizia con lei perché è marocchina, che la giudicano sempre perché è marocchina. «Perché pensano che noi stranieri possiamo fare qualcosa di male? ». Fatima non riesce a darsi risposte, ma piange lacrime amare quando ne parla, lacrime che ha sempre nascosto, lacrime che una bambina coraggiosa come lei non avrebbe mai sprecato alla fine di un film quando la sala si svuota e scorrono i titoli di coda. Quelle lacrime ha imparato a lasciarle sul fazzoletto, ha imparato a scegliere che non dovevano più appartenere ai suoi occhi. Dodici anni appena, eppure ha imparato da sola a non piangere, «a non dire parolacce e a non fare a mazzate».

Gli operatori dell'Oasi 2, la seguono da vicino: «Alle elementari è stata accolta benissimo. E' stato facile creare, fin da subito, legami di solidarietà con i compagni e le maestre. Adesso sta facendo un pò più di fatica nell'inserimento nel mondo degli adolescenti, ma la voglia c'è e l'audacia di farcela non manca. Fatima sta sperimentando qualche difficoltà nel processo di contaminazione, ma è pronta a circondarsi di amicizie vere e profonde». La piccola marocchina è l'emblema di un'integrazione che si gioca sul campo, contro una società viziata dai pregiudizi nei confronti di ciò che sembra, alla vista, diverso. «Io non li giudico – dice – e se loro hanno paura di me è perché si ha paura di ciò che non si conosce».

Bambina tenace e fiera, Fatima è impegnata a creare momenti di incontro tra la sua cultura e la nostra, lontano dall'assorbimento piatto dell'immigrato nel tessuto sociale italiano. Non chiude a chiave nel cassetto la propria identità, apre l'armadio e si mette gli abiti della sua cultura. Non la nasconde, anzi vuol farla conoscere «perché tutti abbiamo qualcosa da imparare dal nostro vicino».

Fatima corre. Fa la mezzofondista. Questo sport richiede un notevole sforzo muscolare, nonché una notevole resistenza. Gli allenamenti sono duri, ma non la fiaccano. «E' molto brava» confermano gli operatori. Non avevamo dubbi a proposito. I fatti parlano chiaro. Fatima ha una marcia in più.
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