Talking

Non avrai altro Dio al di fuori di tuo figlio

Scrive Eleonora Russo

La scuola è cambiata e questa è la scoperta dell'acqua calda. Ciò che non è una scoperta dell'uovo di Colombo invece è che quel che sta mutando in maniera silenziosa e pericolosa: il rapporto insegnate, alunni e genitori e, di conseguenza, tutto il sistema educativo.

In un'ottica chimerica il sistema scuola non dovrebbe prescindere dal dialogo, dalla collaborazione e dal lavoro di rete, ma questo non sempre avviene. I tempi sono cambiati: dall'analisi dei cambiamenti sociali degli ultimi 30 anni, emerge come l'era industriale e capitalista abbia soppiantato completamente e inesorabilmente l'educazione di strada, quella in cui le ore ricreative e la socializzazione erano affidate ai quartieri e ai cortili. Se i bambini si azzuffavano all'aria aperta, interveniva subito il panettiere, il meccanico, la signora del sottano (famosa anche per le frasi tipiche «Tə sçcattə u pallòunə»). Insomma la giustizia, la morale, le regole erano affidate non solo alla scuola e alla famiglia, ma anche al mondo e alla sopravvivenza: tutto si imparava letteralmente sulla propria pelle (le cicatrici parlano più delle foto) e non sempre, o quasi mai, il genitore difendeva a spada tratta la propria creatura.

Di contro i ragazzi di oggi appaiono sempre di più disabituati al contatto e, soprattutto, al confronto con l'altro, se non tramite social network o distratti da un nintendo tra le dita (nemmeno la fatica di far finta di ascoltare). Quel sano e normale discutere, litigare, contrattare sembra non appartenere alle nuove generazioni, tanto c'è il genitore che interviene, risolve ed aggiusta. A modo suo.

Una matita, che a scuola viene rotta da un compagno, diventa una faida familiare (del resto la matita costerà almeno 8 euro, come dar torto), il tutto a discapito dell'insegnate di turno, già provato da tagli e precarietà. Dagli anni '90 in giù il rimprovero del docente era sacro e a casa «Prendevi il resto». Ora no. Il docente non capisce, ce l'ha col bambino, non è capace, va crocifisso con i chiodini colorati, cosparso di vinavil e carta pesta e costretto alla visione di 87 puntate in lingua cilena de Il mondo di Patty con le palpebre spalancate come nella celebre scena di Arancia meccanica. Perché? Perché anni di articoli pseudo psico-pedagogici su riviste da sciampista hanno urlato allo shock irrecuperabile confondendo traumi infantili incancellabili con la semplice educazione, quella normale fatta da premi, punizioni e regole coerenti, non violente e socialmente condivise. «Per paura di frustrarli, i genitori spesso rinunciano ad educare i figli a riconoscere i confini tra l'io e il mondo, a controllare gli impulsi, a sopportare le avversità» (tratto da I no che aiutano a crescere, di Asha Phillips).

A volte ci si fissa nel voler essere, a tutti i costi, genitori migliori dei propri, compensando fin troppo quel che non si è avuto durante l'infanzia e scordando che, proprio grazie a quelle piccole frustrazioni, oggi riusciamo a sopportare il datore di lavoro, il vicino, le assurde cene con i suoceri, il mondo. In altri casi si delega ai figli la rabbia verso il sistema, ma un bambino che si convince che la maestra lo odi e i compagni cospirino contro di lui come può star bene tante ore in classe?

Oggi i bambini (quelli fortunati si intende) hanno quasi tutto. Non subiscono nemmeno la frustrazione di dover contrattare il programma televisivo: «Così, stando ognuno davanti al proprio televisore sono sparite anche le frasi del tipo "Sei bello ma non trasparente" che di solito si diceva a chi distrattamente si metteva davanti alla tv» (tratto da E' una vita che ti aspetto, di Fabio Volo).

La società moderna ci impone solo tempi ansiogeni, scadenze e una vagonata di stress, ma non è una sgridata che fa male al bambino. E' deleterio il non capire quali sono i propri limiti e quelli degli altri. Come può ubbidire al padre un ragazzino che si è impossessato per usucapione del lettone matrimoniale e vede il padre rannicchiato nel lettino di spider man tra lucette, stellline e peluche?

Un bambino sano non è un soldo di cacio che si sente onnipotente tra urla, pianti, schiaffi, calci, sputi e crisi isteriche che lo fanno assomigliare più all'incarnazione dell'anticristo, ma un figlio che si sente sicuro in primis dell'amore dei genitori, poi di se stesso.

La sicurezza risiede nel conoscere il mondo, stare con gli altri, sperimentarsi, giocare, essere viziati ogni tanto, imparare le regole, non raggirarle. E le leggi del viver comune non dovrebbero trasformarsi nella torre di babele tra quello che dice in maniera imprescindibile la mamma, screditato dalla bocca della nonna e infine trasformato in chisenefrega dal papi . L'ipercura è dannosa se protratta rigidamente in tutte le sfere vitali del bambino. Non è l'esaudire ogni desiderio che rende il bambino viziato di oggi un adulto felice domani, ma è la capacità del genitore di ascoltare, contenere le ansie e le paure, stimolare, valutare positivamente, aiutarlo ad alzarsi quando cade; non evitare che cada, cadere nel panico davanti ad una piccola sbucciartura o prendersela con il pavimento. Al bambino serve sentirsi amato e sicuro di potercela fare, in qualche manier, davanti alle difficoltà, non sostituito nelle scelte e nelle piccole lotte che la vita naturalmente non ci risparmierà mai e la vita ci insegna che il mestiere del genitore è il lavoro più difficile del mondo.

«Una volta io dissi a mio padre che mi sentivo solo. Lui mi guardò e mi disse: Chi sei?». (Valerio Peretti)
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