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Il flop del referendum: gli italiani lo abrogano di fatto

Record al ribasso, fallimento per il referendum sulla riforma della Giustizia

Referendum: flop, debacle, fallimento. Mentre calano gli elettori anche rispetto alle amministrative di cinque anni fa (le urne verranno aperte alle 14), possiamo dire che "era già tutto previsto". E intanto si sprecano i sinonimi nei titoli che commentano ciò che non è stato.

Certo, nel fallimento dell'operazione che la Costituzione ha donato al popolo italiano e che il popolo italiano mostra di snobbare sempre più, si possono effettuare numerose chiamate di correità: l'invadenza del conflitto ucraino nell'interesse dell'opinione pubblica, la minima comunicazione dei media, lo schierarsi per il No (da molti inteso come un invito alla non partecipazione) di alcuni dei principali partiti, lo scarso impegno della principale forza politica (la Lega) che pure aveva promosso la raccolta delle firme insieme ai Radicali. E poi è anche la maniera con la quale questo strumento viene usato nel nostro Paese, dove esistono 3 tipologie: abrogativo, costituzionale e territoriale. Al popolo manca la possibilità di "decidere qualcosa" in concreto, cosa che si potrebbe realizzare introducendo il cosiddetto "referendum propositivo".

Dunque non era difficile prevedere che sarebbe finita così: sia per le modalità di utilizzo dello strumento di democrazia diretta, sia per i contenuti della battaglia referendaria, sia per le caratteristiche della strana coppia di promotori (Lega e "i soliti" Radicali). E non è solo un problema di boicottaggio e di inerzia dell'istituto referendario: il nocciolo della questione è che il referendum vien purtroppo usato per porre rimedio all'incapacità del Parlamento di legiferare.

L'esperienza pluridecennale dei referendum, il risultato di molti dei quali ha cambiato davvero il corso della nostra storia, ne ha messo in evidenza le criticità: tra le altre, la difficoltà dei quesiti referendari, che ai più appare un po' come dover dire il contrario di ciò che si pensa. E poi il fattore "tempo": tra la già lunga raccolta delle firme e lo svolgimento della consultazione trascorre un arco temporale che, per le dinamiche della politica, può rivelarsi molto lungo dato che si rischia sempre di andare a votare in un contesto profondamente mutato anche nell'orientamento dell'opinione pubblica.

Si potrà dire che anche ai tempi del referendum sul divorzio e l'aborto ci furono gli stessi timori. Ma quella volta non fu così: la società italiana attraversava un periodo di crescita e di emancipazione che prese in contropiede gran parte della classe politica. Un momento storico che non si è più ripetuto.
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