ambulanza 118
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Sanità

Sesta centrale operativa del 118, Di Candido: «Rischia di essere inutile»

Il dirigente medico ne spiega i motivi

Riceviamo e pubblichiamo l'intervento a firma di Luigi Di Candido, Dirigente Medico Ospedaliero D.E.U. C.R.M. – Socio Italian Network for Safety in Healthcare.

Nel film Mediterraneo, il Tenente Montini, preoccupato per il morale della truppa e cercando una soluzione per risollevarlo chiese all'aiutante Lorusso cosa si potesse fare. "Eh! Si potrebbe far scavare una bella trincea", rispose Lorusso, "e a che serve?" chiese Montini, "niente, cioè la scavano poi la ricoprono", rispose Lorusso.

Ecco, l'istituenda nuova Centrale Operativa SET -118 di Puglia (Servizio di Emergenza Territoriale-118) rischia di essere inutile come la trincea del film di Salvatores. L'Emilia Romagna con quattro milioni e mezzo di abitanti ha tre Centrali Operative del SET 118, la Lombardia con oltre dieci milioni di abitanti ne ha quattro; in Puglia, che di abitanti ne ha quattro milioni, qualcuno sta pensando di aprire una sesta Centrale Operativa SET 118 nella provincia cenerentola BAT.

La notizia, di per sé, non è né buona né cattiva e tenteremo di spiegarne il perché senza preconcetti "politichesi", utilizzando un approccio tecnico ed un po' di buon senso. I "sistemi sanitari" sono fra i più complicati fra tutte le attività umane e, cercare di affrontare la complessità con soluzioni semplici o parziali, e non di sistema, appare quantomeno come una pericolosa ingenuità: se fosse facile lo potrebbero fare tutti.

Bisogna preliminarmente dire che una legge dello Stato, il D.M. 70/2015, disciplina ogni attività sanitaria ospedaliera ed anche della rete di emergenza-urgenza e, a voler leggere anche solo superficialmente la sezione che riguarda le Centrali Operative, si scopre che "si ritiene percorribile una revisione organizzativa che preveda una centrale operativa con un bacino di riferimento orientativamente non inferiore a 0,6 milioni ed oltre di abitanti o almeno una per regione /provincia autonoma". Considerando che la popolazione della Provincia BAT ammonta a circa 393.000 abitanti e che non costituisce Regione o Provincia Autonoma, dovremmo dedurre che questa ipotesi della sesta Centrale Operativa della BAT possa anche essere contra legem.

Ma consideriamo ininfluente l'agire contro legge, come spesso capita di vedere nelle nostre ed altrui terre, e cerchiamo di capire se ciò possa comunque costituire un vantaggio reale oppure uno svantaggio per l'utenza e gli operatori, se possa tradursi in un miglior servizio, più attento alla gestione dei rischi e perciò nel solco della cultura della sicurezza delle cure e del miglioramento continuo della qualità, oppure se ciò sia del tutto ininfluente per tali fini.

Ordunque, noi potremmo paragonare i sistemi sanitari, per semplificare il discorso, ad un flusso di un fluido qualsiasi che scorre con velocità e pressioni differenti a seconda delle dimensioni delle condotte in cui si muove, strozzature o imbuti, filtri ed ostacoli, perdite di rete e spazi di espansione. Chiaro quindi che la velocità e l'andamento del flusso, e la portata, dipendono dalla progettazione di tutto il sistema, dal suo dimensionamento, dalla manutenzione, che quindi può cambiare favorevolmente solo se lo si migliora globalmente oppure se si agisce in maniera significativa rimuovendo gli ostacoli o i colli di bottiglia. Il flusso migliorato, più veloce e scorrevole, in termini di analisi sistemica della gestione dei rischi, corrisponde alla riduzione del rischio stesso e ad un aumento dell'affidabilità globale del sistema di cura, che dovrebbe cercare di rimanere nell'ambito di un profilo di sicurezza tipico almeno delle High Reliability Organizations (organizzazioni ad alta affidabilità).

Allora una Centrale in più potrebbe essere utile, potrebbe rappresentare un potenziamento del sistema; in teoria sarebbe anche così, ma la questione non è proprio così semplice. Cercheremo con un esempio pratico di far meglio comprendere i termini della questione, semplificandola, indicando numeri di fantasia, ed tralasciando volontariamente le cause socio-antropologiche profonde dell'iperafflusso al sistema dell'Emergenza Urgenza.

La signora Anna ha ottant'anni e vive da sola, si sente male (si genera il flusso), non ha parenti o amici vicini, avrebbe bisogno di un ospedale, e vi si recherebbe anche spontaneamente, ma quello cittadino è stato chiuso dal Riordino Ospedaliero, guida ancora ma non lo fa più fuori città (collo di bottiglia). Deve perciò telefonare alla C.O. del 118 che risponde da cinquanta chilometri di distanza. Questa ha solo dieci linee telefoniche e cinque operatori al dispatch, la sua telefonata è la ventesima e perciò va in coda, in un'attesa di durata imprecisata (il flusso si ferma). Ciò accade perché ci sono pochi operatori al dispatch (ostacolo al flusso) e molte persone come Anna, che sono costrette a chiamare il 118 non avendo più l'Ospedale vicino (collo di bottiglia). Questi raggiungerebbero gli ospedali anche con i propri deboli mezzi, ma sono costretti, invece, ad intasare il sistema linea telefonica/operatore, evidentemente sottodimensionato (collo di bottiglia) per la nuova cresciuta richiesta. L'attesa al telefono si protrae, il flusso è fermo, finché finalmente si libera la linea. L'operatore telefonico processa rapidamente la chiamata e la indirizza al mezzo più idoneo per quel tipo soccorso, che però non è disponibile (il flusso si ferma), perché i mezzi sono pochi rispetto all'aumentata domanda. Finalmente si trova un mezzo idoneo, e libero, per soccorrere Anna, che viene però da una città vicina, solo quindici chilometri. Questi operatori del soccorso, si avventano a rotta di collo sulla strada e, per quanto poco tempo possano impiegare, arrivano dopo 40 minuti (rallentamento del flusso). Per Anna il ritardo non è stato decisivo, la trovano ancora viva ed in discrete condizioni, ma dev'essere ospedalizzata. Possono quindi decidere dove recarsi fra i due o tre piccoli ospedali rimasti aperti, nessuno dei quali completo (DEA di II livello) ed in grado di affrontare efficacemente ogni tipologia di urgenza (perdita produttiva). Decidono di andare nell'ospedale di I livello di Vattelapesca e qui, dove convergono altre autoambulanze, si trovano in coda ad altre due ambulanze in attesa di "sbarellare" il proprio paziente (collo di bottiglia), il flusso rallenta pericolosamente, passa un'ora. L'ospedale di arrivo, infatti non è stato adeguato né strutturalmente né organizzativamente alla nuova aumentata domanda, e risponde come può, con lunghe attese. Finalmente Anna viene affidata all'Ospedale di destinazione, ancora viva ed in discrete condizioni, ed il flusso del soccorso pre-ospedaliero ha finalmente termine. Tutti questi ostacoli al flusso, non hanno fortunatamente influito negativamente su di lei, altrimenti avremmo dovuto raccontare una storia differente. Da qui in poi inizierà un altro flusso: l'odissea ospedaliera di Anna.

Rebus sic stantibus, appare perciò chiaro che una nuova centrale operativa, in teoria, potrebbe anche essere utile se però fosse previsto un approccio sistemico, studiato, competente e calibrato, solo dopo misurazione e monitoraggio del sistema (servono i numeri!). Quindi servirebbe un piano che comportasse un adeguato numero di linee telefoniche ed operatori al dispatch (non necessariamente in una nuova Centrale Operativa) in grado di processare un maggior numero di telefonate e, fatto questo, un adeguato numero di mezzi di soccorso di buona qualità e, fatto questo, un'aumentata capacità ricettiva ospedaliera del sistema di emergenza urgenza e, fatto questo, un sufficiente numero di posti letto ospedalieri per pazienti acuti. Lasciando invariato tutto, quindi, e creando solo un'altra piccola centrale operativa, il flusso ristagnerebbe nell'imbuto della nuova centrale, piuttosto che in quella distante cinquanta chilometri.

Ci sarebbe però, a ben guardare, qualche risultato tangibile: un sicuro aumento dei costi, a parità di risposta ed efficacia, e la creazione di un altro "postificio" dove sistemare il nuovo direttore "amico" di Centrale Operativa, magari già in fase avanzata di costruzione ad hoc, e qualche altro medico, coordinatore ed infermiere, sempre "amico", e dalle competenze tutte da dimostrare.

Insomma apparentemente una "non soluzione" organizzativa per la mitigazione del rischio di danno da ritardo di cura, un adeguarsi alla perversa illogicità stigmatizzata da Nigel Edwards, nel 2010, nel suo eccellente studio The triumph of hope over experience che suggeriva di essere "…molto cauti riguardo le motivazioni di coloro che propongono le riorganizzazioni; sicuri che la soluzione suggerita corrisponda effettivamente al problema e che sia basata su alcune prove" e perché, come scriveva James Reason, "Per queste organizzazioni, la ricerca della sicurezza non riguarda tanto la prevenzione di guasti isolati, umani o tecnici, quanto il rendere il sistema il più robusto possibile di fronte ai suoi rischi umani e operativi." (B.M.J. 2000).

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