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Centrali a biomasse, le ragioni del no di Legambiente Trani

«Preoccupante il proliferare di impianti nella sesta provincia»

«Accogliamo con piacere il provvedimento del Consiglio Provinciale della BAT che ha evidenziato la necessità di esprimere un opportuno parere con valore di veto, all'iter autorizzativo per le numerose proposte di centrali a biomasse presentate nel territorio provinciale. L'impianto proposto per Trani è un clone di quello che vorrebbero realizzare alla periferia di Barletta, e si aggiunge a quello che una terza società vorrebbe realizzare ad Andria. La nascente Provincia BAT si connota per il preoccupante numero di impianti a biomasse che rischiano di condizionare le funzioni respiratorie dei numerosi abitanti che la popolano.

Gli impianti di Trani e di Barletta sono gemelli omozigoti (stesso combustibile, stesse macchine, stessa filiera, stesso quantitativo energetico, stesse logiche imprenditoriali), appartengono decisamente alla filiera lunga (72 MW termici ad olio vegetale), e sono estremamente impattanti sotto il profilo delle emissioni climalteranti. L'impianto di Andria è più piccolo (7,9 MW termici) e dovrebbe bruciare biomassa solida. Tutto ciò è inquietante e pazzesco nello stesso tempo: in uno spazio geografico di pochi chilometri dovrebbero nascere tre centrali termoelettriche che modificheranno notevolmente la qualità dell'aria che sarà inalata dai cittadini della BAT. L'impianto di Andria dovrebbe nascere sulla stessa strada provinciale Andria-Trani e dovrebbe distare da quello di Trani appena 5 chilometri. Allargando di poco lo sguardo sono state proposte altre mostruosità simili: Canosa, San Ferdinando, Trinitapoli, Cerignola, ecc..
Gli impianti di Trani e Barletta non sono assolutamente piccoli; dovrebbero singolarmente, bruciare 185 tonnellate al giorno di combustibile oleoso (spremitura di olio di palma, colza, jatropha, girasole, brassica) proveniente con navi da regioni extracontinentali che dovrebbero attraccare nel porto di Barletta. I soli camion (autocisterne) che trasporterebbero il combustibile dal porto di Barletta al singolo inceneritore avrebbero un impatto ambientale mostruoso: si tratterebbe di 400 viaggi equivalenti (20000 litri a camion) andata e ritorno per 12 Km da ripetersi con periodicità massima di 43 giorni. La problematica della movimentazione è comunque un grave handicap connesso agli impianti a biomasse, anche se appartenenti alla cosiddetta filiera corta, in una regione come la puglia dove per la scarsità di biomasse bisognerebbe estendere enormemente il percorso della movimentazione. Sulla devastazione dell'ambiente nei continenti dove si coltivano i vegetali da cui si traggono gli olii vegetali preferiamo sorvolare visto che la letteratura è così ricca e pregnante. Il passaggio dalla foresta tropicale (deforestazione selvaggia) alle monocolture basterebbe già da solo per bocciare questa pratica antiecologica, ma potremmo aggiungere la diminuzione della biodiversità, l'avvelenamento da diserbanti, le guerre indigene per l'accaparramento dei terreni (Madagascar), ecc. .

Volendo estendere le argomentazioni alle problematiche delle biomasse in Puglia, puntualizziamo le nostre preoccupazioni legate alla proliferazione di nuove centrali. Gli impianti proposti hanno quasi sempre una dimensione medio-grande, si va dai 10 ai 100 MW termici, e possono essere alimentati a olio vegetale o a biomasse solide. E' emblematica la situazione del Nord-barese: considerando un raggio di appena 15 Km sono state proposte centrali energetiche nei comuni di Barletta, Trani, Andria, Canosa, San Ferdinando, Trinitapoli, Cerignola, Molfetta. Le aziende richiedenti provengono per la maggior parte dal nord Italia o dall'estero, attratte dagli incentivi previsti dallo stato per le energie rinnovabili. Lungo la sola strada provinciale Andria-Trani vengono, ad esempio, proposti due impianti a biomasse distanti tra loro solo 5 Km: uno dalla Green Energy Solutions (72 MW termici) in territorio di Trani; l'altro dalla Società Energreen S.r.l (7.92 kW termici). Le biomasse costituiscono una fonte energetica climalterante, e sotto l'aspetto economico e giuridico, rientrano tra le fonti rinnovabili. Sotto l'aspetto ecologico la biomassa in Puglia è scarsa ed è limitata di conseguenza anche la rinnovabilità. Legambiente, ora deve, doverosamente, mettere in guardia i cittadini e gli enti preposti alle procedure autorizzative rispetto alla diffusione di questi grossi impianti e all'uso distorto che si sta facendo degli incentivi energetici. Le opportunità di lavoro sono minime a fronte di impatti enormi sulla bassa atmosfera e sugli ecosistemi interconnessi.

Dal punto di vista tecnico gli impianti a biomasse proposti in Puglia (oltre 30) sono di due tipi: 1) a biomasse liquide (olio di palma, colza, jatropha, girasole, brassica, ecc.); 2) a biomasse solide (ramaglie, sfalci, legna,ecc.). Le prime presentano molti problemi dal punto di vista ambientale perché necessitano di materiali che non si trovano sul mercato europeo e devono necessariamente essere importate dall'Africa o dall'Asia producendo la deforestazione di quei paesi e grandi quantità di CO2 derivate dal trattamento e dal trasporto via nave. Le seconde sollevano grandi dubbi sull'effettivo scopo della loro realizzazione. Infatti, essendo la Puglia una regione molto povera in biomassa vegetale, è ragionevole pensare che i costruttori prevedano per tali impianti uno sviluppo legato soprattutto all'incenerimento dei rifiuti (CDR), dato che essi si prestano benissimo anche a questa funzione. Molti degli impianti proposti, già nella fase autorizzativa vengono corredati di apposita variante per la combustione del CDR. E' facilmente appurabile che gran parte degli impianti proposti presentano atti progettuali lacunosi o del tutto carenti per quel che attiene la filiera delle biomasse (provenienza ed accordi contrattuali, caratterizzazione merceologica, garanzie sulla derivazione ecologica della biomassa vegetale).

La Puglia è una Regione dell'area Mediterranea ad elevato rischio di desertificazione e le biomasse dovrebbero essere utilizzate prioritariamente per restituire sostanza organica ai suoli inariditi. A tal proposito sono numerosissimi gli studi che oltre ad attestare il reale e grave rischio di desertificazione della Puglia (‘Indicazione delle aree vulnerabili alla desertificazione in Puglia' – LUCA MONTANARELLA; European Commission, Joint Research Centre Institute for Environment and Sustainability European Soil Bureau, I-21020, Ispra (VA) Italy) attestano come le biomasse, e le sanse in particolare, debbano essere prioritariamente restituite ai suoli (‘Verso la sostenibilità della filiera olivicola: trattamento, recupero e valorizzazione dei sottoprodotti oleari' - Dr.ssa Anna Chiesura; AGEA-Roma).

Se si considera che la Puglia produce già il doppio del proprio fabbisogno energetico si comprende come la realizzazione di altre centrali non sia finalizzata all'abbattimento delle quote di CO2 prodotte dalle centrali combustibili fossili ma al semplice profitto economico da parte delle aziende, aggiungendo all'inquinamento delle vecchie centrali anche quello delle nuove. Infatti, gli impianti a biomasse non sono del tutto esenti dal rilasciare nell'aria grandi quantità di anidride carbonica e di altri inquinanti (ossido di carbonio, ossidi di azoto, particolato, polveri sottili, formaldeide, benzene, idrocarburi policiclici aromatici, diossine, ecc.), seppure in misura minore rispetto alle centrali a carbone. Recenti studi hanno rivelato come in tutti i processi di combustione vengono rilasciate nell'aria microscopiche particelle che aggrediscono direttamente le cellule provocando gravi degenerazioni dei tessuti. Sotto questo punto di vista la Valutazione di Impatto Ambientale che accompagna gli atti progettuali appare palesemente incongruente poiché incapace di cogliere il nuovo status connesso con la realizzazione e l'interferenza eco-sanitaria del gran numero d'impianti previsti.

Quasi tutti gli impianti a biomasse proposti in Puglia non prevedono il recupero ed il riutilizzo dell'energia termica bensì esclusivamente la produzione di energia elettrica per beneficiare dei vantaggi economici connessi alla produzione da fonti rinnovabili. Tale status progettuale è ecologicamente svantaggioso poiché un impianto convenzionale di produzione di energia elettrica ha una efficienza di circa il 35%, mentre il restante 65% viene disperso negli ecosistemi atmosferici ed idrosferici sotto forma di calore.

Per i motivi innanzi esposti facciamo appello agli enti amministrativi interessati agli iter autorizzativi delle centrali a biomasse affinché, al pari del Consiglio Provinciale della BAT, evidenzino concretamente il loro diniego ai progetti proposti».

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