
Cronaca
Detenuto morto in carcere, il medico condannato presenta appello
Gregorio Durante si spense in cella la notte di Capodanno del 2011
Trani - mercoledì 30 dicembre 2015
Per il gup del tribunale di Trani non ci sono dubbi: Gregorio Durante, il detenuto leccese di 33 anni morto la notte di Capodanno tra il 2011 e il 2012, sarebbe stato ucciso da una intossicazione da Fenobarbital contenuto in un farmaco che assumeva per l'epilessia, «agevolata dalla contestuale presenza della polmonite» insorta nell'ultima settimana di vita. Lo dice la sentenza depositata nei mesi scorsi dal gup Luca Buonvino, che ha condannato a 4 mesi (pena sospesa) solo uno dei cinque medici finiti alla sbarra per concorso in omicidio colposo. Si tratta di Francesco Monterisi, il medico che coordinava l'équipe del carcere e che – sostiene la sentenza – «non poteva non essersi reso conto del progressivo deterioramento delle condizioni organiche» di Durante.
È inoltre convinzione del gup che «l'omissione contestata abbia rappresentato un decisivo contributo causale all'evento e che il comportamento alternativo – rappresentato dalla richiesta di ricovero in ospedale, accompagnata da una chiara rappresentazione del quadro clinico – sarebbe stato possibile e, quanto ad efficacia, avrebbe impedito, con elevata probabilità logica, l'exitus in data 31 dicembre del paziente».
Da parte sua – sostiene ancora il gup Buonvino nella sentenza – «non vi fu abbandono del malato o plateale disinteresse nei confronti" del detenuto, «ma superficialità e colpevole inerzia sì». Il caso di Durante venne paragonato dai familiari a quello di Stefano Cucchi. Eppure, dopo il deposito delle motivazioni della sentenza l'avvocato Carmine Di Paola, che difende Monterisi, ha presentato ricorso in Appello basandosi su un assunto sconvolgente: il detenuto simulava - spiega in sintesi nel ricorso - la sua condizione di malessere, finendo con il non mangiare al solo scopo di ottenere gli arresti domiciliari ed evitare la reclusione fino ad aprile 2015.
Anzi il legale sostiene che non vi fu alcuna superficialità o colpevole inerzia da parte del medico nei confronti del detenuto che - scrive - «sino a tutto dicembre aveva dato plurime dimostrazioni di volere percorrere la strada della simulata malattia mentale per sottrarsi all'esecuzione della pena». Per questo nulla si potrebbe imputare al dottor Monterisi e ai giudici d'Appello l'avvocato ha chiesto l'assoluzione del suo assistito o, in subordine, la non menzione della condanna nel certificato penale.
È inoltre convinzione del gup che «l'omissione contestata abbia rappresentato un decisivo contributo causale all'evento e che il comportamento alternativo – rappresentato dalla richiesta di ricovero in ospedale, accompagnata da una chiara rappresentazione del quadro clinico – sarebbe stato possibile e, quanto ad efficacia, avrebbe impedito, con elevata probabilità logica, l'exitus in data 31 dicembre del paziente».
Da parte sua – sostiene ancora il gup Buonvino nella sentenza – «non vi fu abbandono del malato o plateale disinteresse nei confronti" del detenuto, «ma superficialità e colpevole inerzia sì». Il caso di Durante venne paragonato dai familiari a quello di Stefano Cucchi. Eppure, dopo il deposito delle motivazioni della sentenza l'avvocato Carmine Di Paola, che difende Monterisi, ha presentato ricorso in Appello basandosi su un assunto sconvolgente: il detenuto simulava - spiega in sintesi nel ricorso - la sua condizione di malessere, finendo con il non mangiare al solo scopo di ottenere gli arresti domiciliari ed evitare la reclusione fino ad aprile 2015.
Anzi il legale sostiene che non vi fu alcuna superficialità o colpevole inerzia da parte del medico nei confronti del detenuto che - scrive - «sino a tutto dicembre aveva dato plurime dimostrazioni di volere percorrere la strada della simulata malattia mentale per sottrarsi all'esecuzione della pena». Per questo nulla si potrebbe imputare al dottor Monterisi e ai giudici d'Appello l'avvocato ha chiesto l'assoluzione del suo assistito o, in subordine, la non menzione della condanna nel certificato penale.
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