Eventi e cultura
Ingroia e la lotta alle mafie: «Quanti danni le fiction tv»
Il procuratore distrettuale antimafia di Palermo ospite dei Dialoghi. «In Italia c'è un più alto senso di coraggio collettivo»
Trani - sabato 11 giugno 2011
11.07
«In Italia ed in Sicilia non bisogna relcutare un esercito di eroi come sono stati Falcone e Borsellino. Al contrario, bisogna costruire le premesse per una società più coraggiosa, che ha necessità di meno eroi possibili». La pensa così Antonio Ingroia, procuratore distrettuale antimafia di Palermo, protagonista della lotta a Cosa nostra ed ospite de I Dialoghi di Trani.
Per fare la sua professione, in Sicilia, ci vuole passione ma anche coraggio, tanto coraggio. «Nessuno può darsene la stessa dose. Gli uomini coraggiosi spesso sono stati isolati, hanno patito una tragica fine. Borsellino diceva che la paura è un sentimento che non si può eliminare. Il segreto per andare avanti è la misura con cui si riesce a dominare».
Le stragi di Capaci e di via D'Amelio hanno lasciato un'impronta forte. «La morte di due giganti come Falcone e Borsellino – spiega Ingroia – è stata dolorosa ma non è stata vana. Da allora in Italia ed in Sicilia si è sviluppato un più alto livello di consapevolezza della necessità di un'organizzazione collettiva del coraggio. Anche il mondo dell'imprenditoria siciliana ha reagito al sangue. Venti anni fa Confindustria siciliana criticava Libero Grassi per le sue denunce contro il pizzo, tacciandolo di essere un esibizionista. Oggi invece combatte attivamente al fianco dei commercianti. Certo, ci sono tantissimi imprenditori che pagano ancora il pizzo, che fanno affari con la mafia, che restano silenti alle angherie, ma il quadro sta leggermente cambiando».
Guai però ad abbassare la guardia: «Bisogna sconfiggere – dice Ingroia – quell'ipocrisia imperante di chi esulta per l'arresto di un latitante o per una serie di confische. Questi sono risultati repressivi importanti, ci mancherebbe. Ma la mafia è molto ancora ed è ovunque nel Paese, non solo al sud. Esiste un sistema di potere mafioso assai radicato nelle classi dirigenti. E' importante che ogni articolazione della società faccia la sua parte e che ai magistrati vengano dati gli strumenti per poter lavorare: il codice antimafia approvato di recente dal Consiglio dei ministri senz'altro è utile ma è vecchio in partenza di 16 anni e punta soprattutto sulle azioni repressive da adottare mentre mi sembra insufficiente per colpire al cuore la mafia della borghesia affaristica». Ingroia reclama dunque altri strumenti («Bisognerebbe metter mano al testo unico anti-riciclaggio») e soprattutto una formazione migliore per chi si avvia alla professione («Non guasterebbe meno diritto romano e più esami propedeutici alla lettura di un bilancio di una società»).
Ingroia attacca poi «libri e fiction televisive che hanno veicolato con colpevole ipocrisia la mitologia della mafia». «Ci deve essere una responsabilità maggiore da parte del mondo della cultura, di scrittori, di registi. La tv soprattutto resta la più grande agenzia d'informazione per i cittadini. Per questo motivo, quando si producono serie televisive sulle mafie bisognerebbe trattare il tema con maggiore senso di responsabilità. All'indomani delle puntate della fiction Il capo dei capi, nei quartieri di Palermo c'erano tantissimi ragazzini che ripetevano con enfasi gesta e battute estrapolate dalla tv. In procura a Palermo c'è ancora un faldone di lettere di ammirazione per i protagonisti della serie televisiva. Questo non può accadere».
Per fare la sua professione, in Sicilia, ci vuole passione ma anche coraggio, tanto coraggio. «Nessuno può darsene la stessa dose. Gli uomini coraggiosi spesso sono stati isolati, hanno patito una tragica fine. Borsellino diceva che la paura è un sentimento che non si può eliminare. Il segreto per andare avanti è la misura con cui si riesce a dominare».
Le stragi di Capaci e di via D'Amelio hanno lasciato un'impronta forte. «La morte di due giganti come Falcone e Borsellino – spiega Ingroia – è stata dolorosa ma non è stata vana. Da allora in Italia ed in Sicilia si è sviluppato un più alto livello di consapevolezza della necessità di un'organizzazione collettiva del coraggio. Anche il mondo dell'imprenditoria siciliana ha reagito al sangue. Venti anni fa Confindustria siciliana criticava Libero Grassi per le sue denunce contro il pizzo, tacciandolo di essere un esibizionista. Oggi invece combatte attivamente al fianco dei commercianti. Certo, ci sono tantissimi imprenditori che pagano ancora il pizzo, che fanno affari con la mafia, che restano silenti alle angherie, ma il quadro sta leggermente cambiando».
Guai però ad abbassare la guardia: «Bisogna sconfiggere – dice Ingroia – quell'ipocrisia imperante di chi esulta per l'arresto di un latitante o per una serie di confische. Questi sono risultati repressivi importanti, ci mancherebbe. Ma la mafia è molto ancora ed è ovunque nel Paese, non solo al sud. Esiste un sistema di potere mafioso assai radicato nelle classi dirigenti. E' importante che ogni articolazione della società faccia la sua parte e che ai magistrati vengano dati gli strumenti per poter lavorare: il codice antimafia approvato di recente dal Consiglio dei ministri senz'altro è utile ma è vecchio in partenza di 16 anni e punta soprattutto sulle azioni repressive da adottare mentre mi sembra insufficiente per colpire al cuore la mafia della borghesia affaristica». Ingroia reclama dunque altri strumenti («Bisognerebbe metter mano al testo unico anti-riciclaggio») e soprattutto una formazione migliore per chi si avvia alla professione («Non guasterebbe meno diritto romano e più esami propedeutici alla lettura di un bilancio di una società»).
Ingroia attacca poi «libri e fiction televisive che hanno veicolato con colpevole ipocrisia la mitologia della mafia». «Ci deve essere una responsabilità maggiore da parte del mondo della cultura, di scrittori, di registi. La tv soprattutto resta la più grande agenzia d'informazione per i cittadini. Per questo motivo, quando si producono serie televisive sulle mafie bisognerebbe trattare il tema con maggiore senso di responsabilità. All'indomani delle puntate della fiction Il capo dei capi, nei quartieri di Palermo c'erano tantissimi ragazzini che ripetevano con enfasi gesta e battute estrapolate dalla tv. In procura a Palermo c'è ancora un faldone di lettere di ammirazione per i protagonisti della serie televisiva. Questo non può accadere».