Premio Megamark
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Eventi e cultura

Premio Fondazione Megamark, il vincitore è Daniele Vicari con "Emanuele nella battaglia"

Il cavalier Pomarico alla premiazione: «Vogliamo produrre felicità»

"Il sì è una vittoria e il no è comunque una sconfitta, solo attraverso il fare si migliora": il Cavalier Pomarico apre la serata di premiazione del libro vincitore del Premio Fondazione Megamark ribadendo la tenacia per non averne voluto annullare la edizione 2020 - nell'ambito dei Dialoghi di Trani che proseguiranno fino a domenica - in linea con una filosofia di vita che non si stanca di proclamare e diffondere.

Brillante e elegante la giornalista Nina Palmieri delle Iene - fiera di presentare un premio che esalta gli autori e non rientra nelle logiche del mercato editoriale, quindi libero e indipendente- ha introdotto le storie dei libri in finale lasciandone in breve il racconto ai loro autori: ed è sembrato un racconto unico che si dipanava l 'uno dall'altro, perché le storie belle , originali, anche quando solo accennate come ieri sera , si chiamano una con l'altra , nella magia delle Mille e una notte che si ripete sempre.

Il vincitore, chiamato da una Nina Palmieri che fa "suspence" nell'aprire la busta ("Ho sempre sognato di vivere questo momento!") è "Emanuele della battaglia" di Daniele Vicari, che, in quanto regista di fama internazionale, con umiltà e emozione chiede quasi scusa ai finalisti, "più scrittori di lui"; ma soprattutto dedica il premio alla famiglia Morganti (Emanuele fu ucciso barbaramente tre anni fa fuori da una discoteca) che attraverso lui si è spogliata di ogni velo di dolore e verità permettendogli di raccontare fino in fondo l' umanità di chi chiamiamo vittima e che troppo spesso facciamo sparire dall'opinione pubblica quasi con metodo mafioso.

Un assegno al vincitore e uno pari merito a ognuno degli altri finalisti ("come un tassello per un libro successivo"); al pubblico il desiderio di leggere quelle storie, perché questo è la missione dei premi letterari: portare alla ribalta i libri, sedurre chi ne sente la notizia e le trame.

Quei libri giganti affacciati e spalancati sul porto di Trani che ogni estate da cinque anni annunciano il premio sono un anelito alla libertà e alla mente che può sconfinare in spazi lontani, veleggiare e diventare capace di vedere lontano. Il cavalier Pomarico, imprenditore straordinario e illuminato che ha trasformato una azienda locale in una delle realtà più importanti dell'intero Paese, continua a darne prova e - con questo premio che invita all'immenso valore della lettura - testimonianza. Nella felicità del vincitore il cavaliere ("mano preziosa", come lo chiama la Palmieri), approfitta per ricordare al pubblico uno degli obiettivi della sua fondazione: creare spunti per rendere felice la gente, "spregiudicatamente affamati di situazioni che rendano il mondo più felice attraverso una economia che consenta alla società di vivere e produrre bene". Da Trani un modello di premio letterario che come nessun altro si incastona nel sociale, nella diffusione della cultura come strumento di sviluppo economico e umano. Non per niente eravamo a pochi passi dal castello di Federico II, che sulla cultura aveva fondato il suo impero.

Le trame davvero invitano all' acquisto o alla lettura attraverso il prestito alla Biblioteca Comunale, cui come ogni anno i libri sono stati donati dalla fondazione nella persona della sua direttrice, la dottoressa Pellegrino. Sono accompagnate dalle motivazioni della giuria, lette durante la serata.

"Emanuele della battaglia", di Daniele Vicari: La storia vera e terribile di un circo mediatico sprofondato nel silenzio più assordante intorno alla terribile vicenda del ventenne di Alatri, Emanuele Murganti,, massacrato a sprangate fuori da una discoteca, cronaca di un dolore fatto affiorare con pudore e la battaglia del farlo continuare a esistere; "Per la capacità di trasformare un fatto di cronaca nera in una sorta di romanzo antropologico che ha il merito di restituire uno spaccato della società italiana contemporanea partendo dalla provincia profonda con tutte le sue ambiguità e contraddizioni".

"Le isole di Norman" di Veronica Galletta: il mistero della scomparsa di una madre per la giovane Elena in una Siracusa dalla doppia dimensione, tra sogno e realtà, che si apre pagina dopo pagina in una ricomposizione di frammenti di memoria nella antica pratica della stampa in sedicesimi dove le pagine si sfogliano aprendole una dopo l 'altra col tagliacarte, amplificando la magia. "Per la sensibilità con cui l'autrice costruisce un viaggio nello spazio e nella memoria costruendo tessera dopo tessera una storia imperfetta come i protagonisti del romanzo dove gli scorci dell'isola di Ortigia si intersecano con le cicatrici di Elena.

"Notturno di Gibilterra" di Gennaro Serio: "Un giallo - nero a due voci in cui i ruoli del narratore, di uno scrittore, un detective, l' assassino e la vittima si invertono e si scambiamo , scritto da un lettore formato sin da bambino su Simenon e Conan Doyle. "Per l'ironia che pervade questo noir, giocoso e metaletterario che rivela un gusto acuto e sensibile per alcune icone della narrativa poliziesca nonché per diverse esperienze dell'arte figurativa moderna".

"Tutti assenti" di Davide Ruffini: Le vicende che da un paesino abruzzese precipitano nelle atmosfere della burocrazia dei romanzi russi della migliore tradizione, nella storia di un insegnante, un letterato di campagna, che viene chiamato a fare una supplenza in un paesino e ritrova in quel mondo le anime morte di Gogol in una decadenza che permette a tutti di vivacchiare, anzi "svivere", in una inadeguatezza che però non lascia troppo l'amaro in bocca; "Per la finezza con cui il copione più volte trattato del romanzo di ambientazione scolastica si anima di situazioni e personaggi originali osservati in uno sguardo insieme partecipe e ironico".

"Taccuino delle piccole preoccupazioni" di Graziano Graziani: Un taccuino vero, una collezione di idiosincrasie raccolte negli anni che nel tempo ha dato vita a un personaggio, Girolamo Girolimoni, strampalato e asociale, affascinato però da ciò che accade fuori dalla finestra e che racconta a un orologiaio muto che lo ascolta e che lo aiuta a metter a fuoco i pensieri. "Per la precisione lessicale e la tonalità disincantata con cui si delinea il profilo di un antieroe capace di guardare e farci guardare oltre le convenzioni sociali e gli stereotipi della quotidianità".

"Io sono la bestia" di Andrea Donaera: Fuori dai giochi , nel senso che la menzione speciale della giuria lo ha reso un vincitore anzitempo, "Io sono la bestia" è invece la storia della famiglia di un boss della Sacra Corona Unita, intorno alla quale fioccavano storie e episodi anche inventati, narrata da un gallipolese che scrive "traducendo nella testa simultaneamente dal dialetto" ma anche dalla poesia, nella quale, prima di questo esordio in prosa, aveva sempre espresso la propria vena e che comunque ne attraversa le pagine. "La giuria riconosce in questo testo polifonico e fondato su un intreccio rigoroso e su figure ben delineate il tentativo riuscito di forzare i limiti tradizionali del romanzo grazie a una scrittura che si muove inconsapevolmente tra lirica e narrativa e che si arricchisce di un extra testo poetico".
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