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Trani, il grido dell'Iran: "Donna, Vita, Libertà". Foto Carla Anna Penza
Eventi e cultura

Trani, il grido dell'Iran: "Donna, Vita, Libertà"

L'attivista Shady Alizadeh ricostruisce la storia del movimento, dalla morte di Mahsa Amini alla resilienza silenziosa di oggi

Nel Medio Oriente, come nel resto del mondo, la pace appare sempre più come un orizzonte lontano. In Iran, da 46 anni, le donne vivono ai margini della società, oppresse da un regime che ne limita i diritti fondamentali, nella quasi totale indifferenza della comunità internazionale. Ma il silenzio non è più accettabile. Il grido "Donna, Vita, Libertà", nato nel cuore del Kurdistan, ha risuonato ovunque, attraversando piazze, coscienze, storie individuali e collettive.

Il 27 settembre, presso la Biblioteca G. Bovio, si è tenuto un dialogo intitolato proprio Donna, Vita, Libertà, con l'avvocata e attivista Shady Alizadeh e la scrittrice Carmen Pellegrino. Un incontro intenso, che ha voluto dare voce alla resistenza iraniana, a partire da una data simbolica: il 16 settembre 2022.

È stata appunto Shady Alizadeh a ricostruire quel giorno cruciale: in quella data moriva Mahsa Amini, giovane donna curda iraniana di 22 anni, arrestata e picchiata dalla polizia per non aver indossato "correttamente" il velo. Morì due giorni dopo, in ospedale. Non era stato un caso isolato, ma l'ennesima vittima di una lunga catena di soprusi e violenze. Tuttavia, la sua morte generò una reazione senza precedenti e un'ondata di protesta spontanea, partita da Teheran e dal Kurdistan iraniano, si propagò oltre i confini nazionali. In maniera sorprendente i primi a scendere in piazza furono gli uomini e questo rappresentò un gesto di cambiamento e di alleanza, che mise in discussione i privilegi maschili e segnò l'inizio di un nuovo paradigma politico e culturale in Iran. Uomini e donne dunque si ritrovarono uniti nello stesso grido, nella stessa lotta.

Oggi, a tre anni da quel settembre, le manifestazioni non affollano più le piazze come allora. Protestare, in Iran, significa rischiare la morte, la prigione, l'esilio. Ma il movimento non si è spento, è diventato silenzioso e resiliente, e anche se la politica internazionale ha scelto di ignorarlo, attualmente pare non ci sia uno spazio per un movimento pacifista, femminista e trasversale.

Per capire appieno questa storia, spiega Shady Alizadeh, è necessario tornare indietro, all'8 marzo 1979. Lo Scià era appena caduto, e il nuovo regime degli ayatollah imponeva alle donne l'obbligo del velo. Quel giorno, migliaia di donne iraniane scesero in piazza: lavoratrici, studentesse, insegnanti, per dire no a un'imposizione che le riduceva a oggetti di controllo. Una di loro, Homa Darabi, medico e docente universitaria, dopo anni di persecuzioni, nel febbraio del 1994 compì un gesto estremo, ovvero si diede fuoco in una piazza di Teheran, gridando: "Viva la donna, viva la libertà, a morte la dittatura." Lei aveva perso tutto: il lavoro, la cattedra, la possibilità di esercitare la professione medica, le figlie erano state costrette all'esilio. Il suo corpo, l'unica cosa che le restava, divenne l'ultimo atto di rivolta, un gesto estremo di autodeterminazione, di dignità, di denuncia.

"Donna, Vita, Libertà" sono diventate parole radicali, radicate nella cultura curda, divenute simbolo di una rivoluzione non solo femminile, ma collettiva. Un grido che rivendica il diritto di essere, di vivere, di scegliere, un inno alla liberazione da un sistema patriarcale e autoritario che opprime l'identità delle donne.
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