Francesco Ventola
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Enti locali

«Il ddl Delrio sulle province? Non abolisce, ma aumenta gli enti»

Intervista al presidente Francesco Ventola sul futuro della Bat

Intervista di inizio anno per Francesco Ventola. Il presidente della provincia di Barletta-Andria-Trani ha risposto, in un'intervista fiume nella redazione di Barlettalife, alle domande di Edoardo Centonze, Paolo Doronzo e Adriano Antonucci. Nella prima parte dell'intervista, Ventola parla del ddl Delrio di riforma delle province e del suo possibile futuro politico. Prossimamente, sulle nostre pagine, la seconda parte dell'intervista a Ventola.

Tagli della Riforma Del Rio: "No alle Province, Si alle Province…Partiamo a tagliare da Parlamento e Regioni", però la consapevolezza comune è che da qualche parte bisogna pur cominciare. In generale è tipico della nostra cultura: non crede che su questo argomento si persegua un atteggiamento NIMBY (not in my back yard), asettico e controproducente?
«Infatti, credo che una delle ipotesi è proprio questa: si fa tanta confusione per non fare nulla. Però ahimé così non sarà, perché una parte seppur minoritaria del Parlamento è legata a questo disegno che non abolisce le province. Lo stesso disegno di legge non chiama abolizione delle province, ma disposizioni sulle grandi città metropolitane e sulle province. Già nel titolo è un modo maldestro di riorganizzare lo stato non eliminando alcun ente. Per me, tagliare significa che da 3 diventino 2, e non sei o sette. Questa è la cosiddetta foglia di fico, per dare un'impressione all'opinione pubblica. Ma poi verifichiamo che in tutta la Regione Lombardia, secondo i dati statistici, la gente si sente rappresentata più da regioni, comune e province. Rispetto a questo tipo di riforma, 8 cittadini su 10 non sono concordi. Nei programmi elettorali delle ultime elezioni, M5S e il PdL avevano nel programma elettorale l'abolizione delle province attraverso una riforma costituzionale; in questo caso, stiamo facendo il Patroni-Griffi bis, ma già quella proposta causò solo ulteriori sprechi, visto che nelle amministrazioni provinciali in scadenza non si è consentita la partecipazione democratica e poi si sono tagliati drasticamente i fondi delle province. Adesso avviene la stessa cosa: si vive nel limbo, perché non si riesce a programmare, e poi ne viene fuori anche un processo anticostituzionale. Campania, Piemonte, Lombardia e Veneto hanno già dichiarato che proporranno il ricorso, potranno farlo quando sarà legge. I tempi di legge sono di un anno, e quindi ancora tutto potrebbe cadere ancora una volta nell'incostituzionalità».

Non crede che le autonomie locali, sacrosante per carità, possano fare a meno di 8 Assessori, un Presidente, 30 consiglieri con le relative Commissioni, le auto blu e l'elezioni provinciali (come se non ne facessimo già troppe in Italia) per un territorio di soli 10 comuni?
«Vado a memoria, con i pochi anni di storia di attività amministrativa: non mi risultano scandali nelle province. Lo scandalo più grande è stato l'acquisto della Serravalle. Io però ho sentito più che altro scandali nelle regioni, dove si percepiscono soldi dai finanziamenti pubblici, al contrario di quanto avviene nelle province. Abbiamo visto scandali nelle amministrazioni comunali, ma soprattutto nelle società partecipate. Fiera del Levante, Acquedotto Pugliese, Ente irrigazione, qui cosa è avvenuto? Se vogliamo risparmiare, dobbiamo tagliare lì, liquidare queste società. Oggi i politici delle province costano 36 milioni di euro. Se si dovesse votare l'anno prossimo, il costo sarebbe di 11 milioni di euro. E la democrazia del cittadino non si meriterebbe 11 milioni di euro? Cosa deve fare di più?».

Il centrodestra ha vissuto un importante momento di cambiamento e divisione, anche in Puglia, tra Forza Italia e Ncd: come, secondo lei, influirà nel lungo periodo nel nostro territorio regionale e riguardo la questione delle province?
«Teniamo conto che il ddl Delrio è passato alla Camera dei Deputati con 227 voti, che non sono nemmeno la maggioranza assoluta, votato dal Pd e da una parte del Centrodestra. Sel, M5S e Forza Italia, che in questo momento rappresentano più del 50% dei voti, non hanno condiviso questo percorso. È come se il Governo avesse posto una questione di fiducia al Parlamento. Abbiamo già sentito le dichiarazioni di Scelta Civica con Casini che ha dichiarato che, qualora il ddl non cambierà, non sarà votato. Io non so se al Senato ci saranno i voti per fare passare questo ddl. Non so se gli amici del Nuovo Centrodestra condividono che per legge si inserisca che le città metropolitane non sono solo quelle previste, le 10 famose della legge 241, ma a queste si aggiungono le città metropolitane delle regioni a statuto speciale, come dice l'art.2. Così si partoriscono 18 città metropolitane. Questo significa abolire? Non lo so. Ci dice anche che le province confinanti, se superano 1 milione di abitanti, possono creare un'altra città metropolitana. E questo non mi sembra che significhi abolire. Poi il ddl dice che alcuni comuni possono decidere di non aderire alla città metropolitana e di rimanere sotto l'ente provincia. Quindi rimarrebbero sia la provincia, che diventano enti di secondo livello, e la città metropolitana, con l'unico problema è che non ci sarà l'elezione diretta. È sufficiente leggere questo ddl per capire che aumentano gli enti, è un aggravio per i cittadini che vogliono meno costi, che vogliono uno snellimento. Qui si parla di tecnocrazia, di potere ai tecnici. Se il cittadino oggi farà 4 chiese (comune, provincia, regione e governo), domani se ne farà di più. Per me abolire significa togliere un ente, non moltiplicarne e aggiungerne degli altri. Io sono favorevole alla chiusura delle province con l'iter costituzionale, in cui viene precisato chi scrive cosa. Altrimenti così sovrapponiamo le competenze, altrimenti succede quanto accade quest'oggi tra Regioni e Governo. Nel 2006 non è passato un referendum che proponeva una diminuzione del Senato e i tagli, perché era passato il concetto della divisione dell'Italia. Però non c'è peggior riforma di una che non conclude il discorso, perché lascia nel limbo molte cose. Se la riforma fosse costituzionale, abolirei le province, con le regioni che dovrebbero diventare organo amministrativo. Non si può tenere un'Italia dove c'è un organo amministrativo e due legislativi. Personalmente, merita un serio approfondimento il lavoro dell'Istituto Geografico Italiano, commissionato da Delrio e Quagliariello, che aveva avuto il compito di creare aree di appartenenza, individuando 36 micro regioni, o chiamiamole maxi province. Ora la regione Puglia è divisa in tanti uffici periferici, con uffici regionali periferici sparsi dovunque. La regione deve perdere il suo compito legislativo, non è possibile restare così».

Qual è il futuro politico di Francesco Ventola al termine del suo mandato in primavera?
«Appartengo a quella classe politica che pensa che se hai i voti vai avanti. La scuola che viene dalla trincea non ha eguali. Ho fatto tutto, vengo dal mondo della trincea, tutte le volte sono stato eletto con la gente che esprimeva il mio nome. Se è questione di nominati, poco mi importa, se non sento addosso la carica della gente che mi vota, non vado da nessuna parte. Ho già detto che, se la coalizione mi richiedesse di ricandidarmi, io sarò della partita. Se non ci sono le elezioni provinciali, tornerò a lavorare in banca e tornerò a lavorare per candidarmi alle regionali. Preferisco le regionali alle parlamentari innanzitutto per questioni familiari, e poi anche perché non sono abituato ad essere un numero ma una persona facente parte di una squadra. Se poi ci saranno prima le elezioni politiche, ci penso. Io non sono un tecnico, sono un politico. Il tecnico è tecnico, ma la rappresentanza è un'altra cosa. Credo nei politici, e credo che il politico deve essere supportato dal tecnico. Al netto delle province, preferirei la prospettiva regionale. In ogni caso, se vado in regione, farò la battaglia legislativa per cambiare lo statuto e le leggi. La regione deve programmare, legiferare e controllare, i soldi devono andare ai comuni. Solo i comuni conoscono le esigenze del territorio».

Se la riforma Delrio venisse approvata, il prossimo presidente della provincia verrebbe scelto tra i 10 sindaci dei comuni della Bat, con l'esclusione di Giorgino di Andria, in quanto a meno di 18 mesi dalla scadenza del suo mandato (vincolo previsto dal ddl). Che scenario prevede?
«Le competenze di una provincia restano comunque di area vasta. Vedo difficile che un sindaco, che per natura del suo incarico è campanilista, possa fare anche il presidente di provincia. Sarà un problema in tutta Italia. Qui non si parla di programmazione, ma di gestione. Se in un bilancio hai 35 milioni di euro, il comune più piccolo può non avere niente? Il comune più grande, con il presidente di provincia, può non dare nulla a casa sua? Qualche anno fa si parlava di bilancio provinciale "canosacentrico", ora si è parlato di un presidente di provincia che non fa attenzione alla sua città, perché non si assegnavano soldi al Museo di Canosa. È il gioco delle parti. Avendo avuto questa esperienza, dico che è sbagliato scegliere il presidente di provincia tra i sindaci del territorio. Si va verso un doppio scenario: o ingovernabilità oppure un compito "ristretto" a 2-3 persone che scelgono tutto lasciando poco o niente agli altri. E in tal caso non sarebbe più provincia, non sarebbe più area vasta».

Dopo il commiato del prefetto Sessa, anche lei ha preparato il suo commiato?
«No, sinceramente no (dice ridendo ndr). Nessun commiato».
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