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Cronaca

Guarito dal Coronavirus, intervista al paziente uno della provincia Bat

«Ringrazio dottori e infermieri: per me sono angeli senza volto, perché arrivano tutti bardati con i dispositivi di sicurezza»

La festa di "bentornato" pronta, i famigliari ansiosi di rivederlo, l'intera comunità locale ha gioito alla notizia della sua guarigione e ancor più delle sue dimissioni dall'ospedale, ma qualcosa è cambiato e così il paziente "uno" della provincia di Barletta-Andria-Trani, il 47enne di Trani, contagiato dal Covid-19, è ancora nel presidio di Bisceglie, costretto ad osservare un ulteriore periodo di degenza. Così nasce l'idea di questa intervista, per farci raccontare cosa si prova, a cosa si pensa e come si vivono questi interminabili giorni.

I sintomi, le preoccupazioni, i contatti con i dottori e poi la scoperta del contagio, come nasce tutto?
«Dopo una settimana di isolamento volontario a casa, rientrato dal nord Italia, per una febbre continua, sotto controllo del medico di famiglia, il 2 marzo mi sono fatto accompagnare all'Ospedale di Bisceglie da mia moglie (in isolamento con me ed i nostri figli), dove, dopo una prima serie di esami, hanno ritenuto di ricoverami. Il giorno dopo mi hanno fatto 4 tamponi che hanno dato risultato positivo al Covid19».

Cosa hai vissuto una volta in ospedale?
«I primi momenti sono stati i peggiori. Sono rimasto 7 ore da solo in una stanzetta fredda del pronto soccorso, isolato, senza acqua, senza cibo. Nessuno mi dava spiegazioni, finché è arrivato intorno alle 22.00 il dott. Mazzola, che mi ha fatto avere una bottiglietta d'acqua e mi ha informato che sarei stato ricoverato, come sospetto contagiato da Covid 19. A mezzanotte un angelo, un infermiere di nome Giacomo, mi ha fatto arrivare una pizza e 3 bottigliette d'acqua. Il giorno dopo sarei diventato il "paziente 1" della Bat».

Non appena diffusa la notizia si è subito scatenata la "caccia alle streghe", quanto è stato duro per te e per la tua famiglia affrontare questa situazione?
«In realtà io l'ho vissuta poco e in differita, poiché in quelle ore in cui si consumava lo sciacallaggio web e mediatico, io ero in uno stato di dormiveglia continuo, vuoi per i farmaci, vuoi per la febbre. Quando ho cominciato a riprendermi, dopo un paio di giorni, ho letto qualcosa, ho visto il video indegno dell'annuncio da parte del sindaco di Barletta, a differenza del sindaco Bottaro di Trani, che ha "coccolato" mia moglie e i miei figli durante il periodo di quarantena (15 giorni). Si sono resi disponibili per qualunque necessità, ivi compresa la spesa quotidiana».

Cosa hai fatto durante queste interminabili giornate?
«I primi giorni, nulla. Non potevo. Poi ho cominciato a rispondere alle centinaia di messaggi di solidarietà, curiosità, affetto ed alle telefonate. Ho vissuto questa malattia, un po' come in un Grande Fratello, o The Truman Show. La gente partecipava quotidianamente... voleva essere informata. E quando è stata pubblicata la notizia delle dimissioni del paziente numero 1, giù con messaggi di congratulazioni, felicitazioni etc etc. Ho dovuto smentire per ben due volte la notizia. Da circa una settimana ho ripreso a lavorare, grazie alla tecnologia, e mi concedo un paio d'ore di lettura al giorno (un lusso pazzesco)».

Oltre al personale medico e paramedico, chi vorresti ringraziare per come sono andate le cose?
«Vorrei ringraziare di cuore gli inquilini del mio condominio, quelle persone con le quali ti saluti cordialmente a volte quasi con distrazione, ma che si sono spesi per non far mancare nulla alla mia famiglia in quarantena, con un senso di solidarietà pazzesco, senza paura. Lucia e la sua famiglia che ogni giorno hanno condiviso uova fresche, arance, dolci bigliettini sotto la porta carichi di affetto, così come quelli di Rossella, con le sue parole dolci e confortanti e i cornetti a colazione. E poi Rosa e le crostate calde di Gina. Sono piccoli gesti che in questi momenti difficili hanno un valore enorme. Grazie».

Avevi la preoccupazione di aver contagiato qualcuno?
«Ho vissuto con il terrore di aver contagiato qualcuno dei miei cari, ho i genitori grandicelli (papà 91 anni e mamma 86). Speravo di non aver contagiato nessuna delle centinaia di persone che avevo incontrato nei 10 giorni precedenti: clienti, amici, collaboratori, familiari. E grazie a Dio, nessuno è stato contagiato. Hanno dovuto subire la quarantena, ma nessuno è stato contagiato».

Ora come stai? Perché sei ancora in ospedale?
«Sono in ospedale dal 2 marzo, guarito clinicamente da qualche giorno ormai, ma non ancora "negativizzato" completamente. Scoppio di salute. E non vedo l'ora di riabbracciare mia moglie, che probabilmente è in dolce attesa, ed i miei bambini. Nel momento più buio, la vita si è manifestata in tutta la sua forza, quasi fosse un messaggio divino».

Cosa ti senti di dire ora che il peggio è passato?
«Voglio spendere due parole su infermieri, OSS, dottori e tutta l'equipe dell'ospedale che si spende quotidianamente, con amore e senza riserve. Per me sono angeli senza volto, perché arrivano tutti bardati con i dispositivi di sicurezza. Posso solo vederne gli occhi. Non posso, però, non ricordare tra gli infermieri Giuseppe, Giacomo, Sabino, Annamaria, Pasqua e potrei continuare all'infinito. La simpatia dell'OSS Vincenzo. Così come la dolcissima dottoressa Giannelli, il dottor Mazzola, il dottor Infante, ed il capo dipartimento il dottor Carbonara, che mi ha confortato telefonicamente, durante la degenza, sempre al lavoro».

Chi tra i tuoi amici ha avuto un ruolo importante in questi giorni?
«Ringrazio tutti gli amici e conoscenti che mi hanno riempito di affetto con le centinaia di messaggi quotidiani. Nanni, Salvatore, Giancarlo, Vito, Valeria, Rosanna, la signora Canaletti per la focaccia, il prosciutto, la mozzarella, il pollo, la parmigiana, il ragù di agnello... insomma quei piccoli grandi gesti! In ultimo ma non per ultimo lasciami ringraziare la mia famiglia, presente in ogni singolo istante, in tutti i modi: mio cognato mi ha fatto pervenire subito la televisione! Ed in particolar modo la mia amica e sorella, supporto morale quotidiano che grazie alle nostre divertenti telefonate mi ha aiutato a rigenerare lo spirito. É un rito che abbiamo da sempre e che ci aiuta ad affrontare le giornate».

Sappiamo che hai "impegnato" il tuo tempo ideando e portando avanti un progetto importante proprio legato al Coronavirus, di cosa si tratta?
«Tutto nasce da una notte insonne di mio fratello. Avvertiva un senso di inadeguatezza in questa situazione surreale, la gente a casa, mentre negli ospedali molte persone lavoravano allo stremo delle proprie forze, senza risparmiarsi in nulla, coperti dalla testa ai piedi dai dispositivi di protezione individuale per cercare di salvare vite. Non sopportava di rimanere inerme ad aspettare tempi migliori. Doveva fare qualcosa. All'alba mi ha inviato un messaggio: cosa ne pensi se facciamo una donazione con le aziende di famiglia? Benché non sia il momento migliore, toccate dallo Tzunami in atto, come buona parte delle aziende italiane. Io ero già sveglio (purtroppo dormivo pochissimo in ospedale, soprattutto di notte) ed ho letto subito il messaggio. Il mio cuore si è riempito di gioia e gli ho detto che ne sarei stato più che felice. Ed immediatamente ho cominciato a pensare come fare di più, e così mi è venuta l'idea di lanciare una raccolta fondi. Ho condiviso l'idea con il mio più caro amico, che casualmente è un professionista della comunicazione e del web marketing, che è impazzito letteralmente di gioia e si è lanciato a capofitto con i suoi soci in questa iniziativa. Alle 7.30 con mio fratello ed il mio amico avevamo già abbozzato un'idea, alle 10.00 dopo una call con i soci dello studio di comunicazione "Il riscatto delle cicale" avevamo le idee chiare. Alle 22,00 avevamo già il programma! Ma di questo vi darò i dettagli tra qualche giorno, se tutto va bene la campagna comincerà il 25 marzo. Voi restate casa, perché uscirne, si può: insieme».
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