HUB Porta Nova Trani, «iN BOX» la mostra dell’artista palestinese Zaid Ayasa
HUB Porta Nova Trani, «iN BOX» la mostra dell’artista palestinese Zaid Ayasa
Eventi e cultura

HUB Porta Nova Trani: «iN BOX» inaugurata la mostra dell’artista palestinese Zaid Ayasa

Un viaggio artistico e culturale che unisce memoria, resistenza e dialogo interculturale

L'evento di mercoledì 20 agosto presso HUB Porta Nova, ha aperto il progetto "Medea" che si concluderà giovedì 28 con la Festa dei Popoli 2025. In questa occasione si è inaugurata la mostra iN BOX di Zaid Ayasa, che sarà visitabile fino al 27 agosto, ed è stata accompagnata da un'apericena etnica e da suggestive improvvisazioni musicali. La Festa dei Popoli, dedicata quest'anno al popolo palestinese, si è intrecciata con il progetto europeo di solidarietà "Medea", ispirato all'archetipo della straniera e dell'esule: una figura in movimento che incarna chi migra, chi attraversa terre e culture, e porta con sé un patrimonio di memoria, fragilità e bellezza.

Medea è simbolo di chi viaggia con leggerezza, abbracciando uno stile di vita frugale, ecologico e aperto all'incontro, e che attraverso l'arte rende visibili le differenze e le tipicità. In questo contesto si è inserito appunto il lavoro di Zaid Ayasa, artista multidisciplinare nato nel 1984 a Nablus e attualmente residente a Trani. Zaid, laureato in Belle Arti e specializzato in Graphic, ama sperimentare tecniche digitali e tradizionali per raccontare il desiderio di libertà e connessione, superando idealmente i muri dell'occupazione e delle restrizioni a cui è costretto ormai da tanto tempo il popolo palestinese. Affascinato dalla musica e dal dialogo interculturale, ha portato le sue opere in giro per il mondo come testimonianza di una libertà rubata e negata e di un forte desiderio di continuare a vivere e ad esistere.

L' intervista a Zaid Ayasa:
  • Cosa è per te l'arte?
"Cosa è per me l'arte?", una domanda che non è affatto semplice e a cui difficilmente posso rispondere, ma posso dirti cosa sento, posso dirti cosa voglio comunicare, anche attraverso questa esibizione. Per me, l'arte è un modo per esistere, per stare con le persone, anche quando non possiamo esserlo fisicamente. Condivido musica, parole, immagini, ma a volte tutto questo non basta. A volte mi chiedo: cosa significa suonare, mangiare, fare un'intervista... mentre le bombe cadono su Gaza? Che senso ha? Io sono palestinese, sono nato sotto occupazione e ogni 22 agosto compio gli anni, quest'anno saranno 41. Quarantuno anni di vita sotto occupazione. Ogni giorno, in Palestina, c'è guerra, tensione, silenzio forzato, ma Gaza non è solo guerra. Gaza è fede, cultura, resistenza. Purtroppo però ogni due anni tutto si azzera, c'è una nuova guerra, un nuovo trauma, un nuovo annientamento. Dopo questo ultimo conflitto, cominciato circa due anni fa, per me è davvero difficile fare arte. Tutto quello che sta accadendo non è semplicemente un genocidio, è qualcosa di più grande, ancora difficile da definire, ancora non abbiamo le parole adatte per nominarlo. Non è solo Gaza, ma è il mondo intero ad essere malato.
  • Cosa ti ha spinto a trasformare questa esperienza di chiusura e dolore in un progetto artistico?
Ho visto un cambiamento enorme nella mia vita dopo l'ennesimo conflitto. Una persona in particolare ha segnato questo cambiamento, un mio amico arrestato quando avevamo solo 18 anni. Prima giocavo a calcio con gli amici, ridevo, mi divertivo, poi ho cominciato a perdere tutto l'entusiasmo e a stare male. Alcune persone sono scomparse, sparite nel nulla, i legami si sono spezzati e il mio corpo ha cominciato a risentirne. Così, per reagire a questa sofferenza, è nata la mia collezione chiamata iN BOX.
  • Quando crei l'arte il tuo pensiero è sempre rivolto alla tua terra?
Dal 2014 sto lavorando a questo progetto ma ogni anno, a settembre o ottobre, devo fermarmi perché ricomincia la guerra. Sempre. Ogni nuovo trauma rende tutto più pesante e lavorare diventa difficile. Non riesco a creare senza pensare a chi vive in gabbie. Non carceri ufficiali, ma gabbie vere. Senza futuro e senza via d'uscita. E ti chiedi: perché? Perché questo accade alla mia terra? Perché sto pagando per ciò che è mio? Questa non è solo la storia della Palestina ma la storia di un modello di occupazione che può arrivare ovunque. Se succede a Gaza, può succedere ovunque. Nessuno è al sicuro.
Tutti parlano di genocidio ma ciò che sta accadendo è più di un genocidio. È qualcosa che non ha ancora un nome. Non lo può immaginare chi non lo vive. Nel 2024, all'università di Bari, durante un incontro dissi agli studenti: "Potete immaginare che tutte le strade intorno a voi siano distrutte? Che non ci sia via d'uscita?" E le persone non riuscirono a farlo.
  • Come puoi trovare la forza di continuare a creare e ad esprimerti nonostante la consapevolezza dolorosa di ciò che accade nella tua terra?
Ho iniziato a lavorare a 13 anni, suonando la darbuka, da allora ho vissuto in cento case. Mai un posto fisso. Dal 2016 vengo ogni anno in Italia per lavorare con una compagnia teatrale in Toscana. Abbiamo fatto festival qui e in Palestina. Ma oggi anche l'arte non basta. Ho un milione di idee salvate nel telefono, ma non riesco ad iniziare nulla. Davanti a un video o ad una foto di Gaza, mi chiedo a cosa serve l'arte? Nessun artista, nessun film, nessuna animazione può raccontare questa storia meglio della realtà stessa. Questa non è umanità. È qualcosa che solo i demoni potrebbero fare. Ho studiato la storia, conosco le guerre mondiali, i genocidi, ma oggi vedo tutto in tempo reale. Ogni secondo, su Instagram, su YouTube, vedo vite morire. Eppure vado avanti. Perché? Perché forse molte persone cominciano a capire il dramma che quotidianamente affligge Gaza. Nonostante tutto ho ancora fiducia nell'uomo in quanto sono convinto che non si possa vivere senza speranza e, dunque, ho speranza per i palestinesi, per chiunque lotti per la giustizia. Quindi posso affermare che per me l'arte oggi è sopravvivenza, è lo strumento che ho per non morire dentro, è l'espressione più diretta per denunciare ogni forma di ingiustizia e violenza.

La mostra iN BOX non è stata solo un'esposizione di opere, ma un'esperienza intima e potente che ha aperto uno spazio di ascolto e consapevolezza. Attraverso le creazioni di Zaid Ayasa, il pubblico ha potuto entrare in contatto con una realtà spesso silenziata, fatta di confini, assenze, eppure anche di profonda umanità e resistenza. Ogni lavoro ha raccontato una storia sospesa tra chiusura e desiderio di apertura, tra gabbie visibili e invisibili. iN BOX ci ha ricordato che l'arte può ancora scuotere, avvicinare, far pensare. E che anche dentro una stanza chiusa, la voce di chi resiste può arrivare lontano.
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