Alfonso Soldano. <span>Foto Adriana Fabrizio</span>
Alfonso Soldano. Foto Adriana Fabrizio
Eventi e cultura

Le “Metamorfosi” di Alfonso Soldano incantano Palazzo Beltrani

Il pianista tranese ha portato in concerto alcune sue trascrizioni inedite di brani celebri e una sua composizione originale

La musica è il linguaggio universale per eccellenza, e quando ad esprimersi è il principe degli strumenti – il pianoforte – accompagnato da immagini, la comunicazione dei sentimenti dell'interprete diviene completa.

Nella serata di venerdì, a Palazzo "Beltrani", il pianista tranese Alfonso Soldano ha portato in concerto alcune delle sue trascrizioni di brani della tradizione musicale mondiale, come "Sirenes" di Debussy e due arie celebri tratte dallo "Schiaccianoci" e dal "Lago dei cigni" di Čajkovskij. In prima assoluta per il Palazzo delle Arti "Beltrani", ha presentato anche "Nettuno", dai celeberrimi "Pianeti" di Holst, da lui composta appositamente per la serata.

Il concerto è stata un'esperienza fatta di musica, di colori e di immagini che hanno accompagnato il pubblico all'ascolto, ricreando scene e sensazioni sognanti, particolari e surreali, cercando di tramettere con la musica e le immagini ciò che non è comprensibile a parole. Di questo viaggio nell'ascolto della musica ci ha parlato il protagonista, Alfonso Soldano, in un'intervista.

D: Questo concerto si chiama "Metamorfosi"; cosa ti ha spinto a scegliere questo tema e questo titolo?
R: il fatto che volevo reinventare il pianoforte come sua dimensione espressiva; volevo riprendere un tentativo, già fatto in passato, di innovazione di questo strumento, che è stato uno strumento di accompagnamento fino al XVIII secolo; con Liszt assume dignità di strumento solistico. L'idea di poter riprodurre con il pianoforte una compagine più ampia mi affascinava. Per esempio, "Sirene" di Debussy è un brano per orchestra e coro femminile: farlo con dieci dita è un impegno gravoso, ma ci provo. Quando la musica è suitable, quindi lo permette, si può trasformare la dimensione espressiva della musica attraverso il pianoforte, per poterla rendere anche più fruibile.

D: Come può il pianoforte trasformarsi in un'orchestra, in un cantante lirico o in un duo da camera?
R: Cinquanta e cinquanta; serve bravura e impegno da una parte, e dall'altra saper scegliere la musica che permette di realizzare questo obiettivo, secondo anche quello che lo strumento può rendere. Dato che il pianoforte è il principe degli strumenti, può rendere tante cose diverse: entro determinati limiti può riprodurre una voce, un coro, un'orchestra, diverse tipologie di scritture. Però, ovviamente, questo ti mette nella condizione di doverlo immaginare; per questo io ho accompagnato alla musica delle immagini. In questo caso ho voluto che vi fossero delle immagini di accompagnamento specifiche per aiutare le persone nell'ascolto.

D: Quindi è per questo che abbiamo visto delle immagini accompagnare la musica?
R: Sì, lo reputo necessario; credo che la musica abbia bisogno dei punti di contatto: a causa della moda e della società dell'epoca in cui i brani furono scritti, le generazioni che ascoltavano la musica di Debussy quando questa fu scritta, la immaginavano nella propria mente, non avevano dei supporti per poterla vedere. Una sirena non la vedevano, ma la immaginavano. Adesso l'intelligenza artificiale può creare l'immagine di una sirena, si potrebbe fare un film sulle sirene. Io cerco di ricreare la condizione di contatto con una musica che ha un'architettura e un impegno d'ascolto imponente, perché imponente era quello che doveva servire per far capire e vivere le sensazioni e le immagini a chi ascoltava. Al giorno d'oggi abbiamo tuto a portata di mano, non c'è nulla che non si possa vedere e quindi "toccare con gli occhi", per dirla in maniera sinestetica.

D: Con la musica tu dici che si descrivono dei paesaggi interiori: quali sono i tuoi?
R: I miei sono paesaggi di speranza. Lo dico perché ho viaggiato tanto, da Las Vegas a Shangai, parlo quattro lingue, l'ucraino, per esempio. Diciamo spesso che la musica è un linguaggio; è anche un linguaggio di pace. Io suono tanto i compositori russi quanto i compositori ucraini, perché sono espressione delle loro nature. In questo senso cerco di essere onnicomprensivo, cerco di utilizzare la musica per dare quello che non ho e per descrivere quello che non so, perché la musica, a volte, è l'unico punto di contatto con certe realtà. Io oggi suonerò, per esempio, alcune romanze per voce e pianoforte di Rachmaninov: conosciamo bene alcuni concerti molto ascoltati, però le miniature di alcuni pezzi per voce e pianoforte, che sono il nucleo più intimo della sua produzione, non le conosciamo. O ancora, ci sono tanti testi poetici di autori russi che trattano temi molto profondi a livello umano, ma che non conosciamo perché il testo è in russo. Suonando e accompagnando il brano con un'immagine, si riesce a trasmettere ciò che il testo vuole dire, avvicinando un po' di più un mondo lontano.

D: Il programma di questa sera è un tripudio di suoni e di colori: qual è il fil rouge che mette ordine in questo caos che è solo apparente?
R: Il fil rouge è quello di avere sempre una connessione con chi ascolta; non c'è niente che io abbia scelto che sia sconnesso. Non ho sentito niente che potesse essere egoista; non ho scelto niente che potesse raccontare solo a me. L'unica presunzione che ho è quella di aver presentato, tramite l'immagine, tramite le note che ho scelto e che ho trascritto, un'immagine nitida.
È un po' come il processo della fotografia: la fotografia non è il momento reale però restituisce un'immagine di quel momento. Noi esseri umani ci teniamo a questo gioco, facciamo un milione di fotografie. Il principio è quello: restituire qualcosa.
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